La prossemica: un nuovo apporto all’architettura?

VIRGINIA GANGEMI
Il quadro delle ricerche e degli studi semiologici si è di recente arricchito di una nuova branca disciplinare: la prossemica. Il suo teorico, Edward T. Hall, attraverso considerazioni derivate inizialmente da studi di antropologia e biologia, e sulla scorta di analisi comportamentistiche, indaga sulla struttura dello spazio umano, giungendo a configurare una vera e propria Semiologia dello spazio.

In altri termini la ricerca di Hall tende a costituire per lo spazio quello che la linguistica costituisce per l’universo dei segnali verbali, utilizzando e superando i contributi degli studi americani sulle scienze del comportamento. Hall opera nel solco aperto dagli studi degli antropologi F. Boas, E. Sapir, L. Bloomfield e B.L. Whorf che per primi evidenziarono le profonde differenze esistenti tra le famiglie linguistiche.
In particolare Whorf approfondisce il tema del rapporto del linguaggio col pensiero e con la percezione. Egli afferma che il linguaggio « è un vero e proprio elemento costitutivo della formazione del pensiero e che, quindi, la vera percezione che un uomo ha del mondo che lo circonda è programmata dal linguaggio che egli parla… poiché due lingue diverse programmano spesso il medesimo insieme di eventi in modo totalmente differente, nessuna opinione e nessun sistema filosofico dovrebbe essere ritenuto immune da influenze linguistiche».
Hall traspone i concetti espressi da Whorf su di un contesto più vasto verificandone l’applicabilità all’intera sfera del comportamento umano e utilizza gli strumenti della ricerca linguistica per indagare sui comportamenti culturali degli individui e sulla complessa rete delle relazioni spaziali tra uomo e ambiente, fino ad oggi oggetto di studio della ecologia.
Hall confuta la tesi «che l’esperienza sia ciò che accomuna tutti gli uomini, che dunque sia sempre possibile scartare in qualche modo linguaggio e cultura per risalire all’esperienza, stabilendo un diretto ed originario contatto con l’altro. Codesta credenza, implicita e spesso esplicita, sulla natura del rapporto fra
uomo ed esperienza, era basata sulla presunzione che, quando due esseri umani sono soggetti alla medesima «esperienza», virtualmente gli stessi dati siano forniti ai due sistemi nervosi centrali, e che i due cervelli li registrino in modo simile. L’indagine prossemica getta seri dubbi sulla validità di questa assunzione, soprattutto quando si tratta di culture differenti».
Confluiscono nella ricerca di Hall elementi della psicologia transazionale e del naturalismo critico americano; la tesi transazionista, che considera la percezione uno strumento di comunicazione, viene arricchita dalla considerazione che «l’esperienza quale è percepita, attraverso una certa serie di filtri sensoriali, disposti secondo i condizionamenti culturali, è completamente diversa dall’esperienza percepita da altri, di ambiente culturale differente».
La prossemica, embrionalmente espressa in The Silent Language che Hall pubblicò nel 1959, e sistematizzata in The Hidden Dimension del 1966, utilizza ed elabora esperienze complesse e investe campi di pertinenza pluridisciplinari, quali l’antropologia, la biologia, la psicologia, l’ecologia, la etnologia, la sociologia, ecc.
La semiotica, scienza generale dei segni, costituisce il tessuto connettivo, il fondamento che riunifica i dati e le considerazioni desunte dalle diverse branche disciplinari, e ne prospetta l’interpretazione e i significati. Le considerazioni dalle quali Hall parte, e che costituiscono la base della individuazione dei sistemi prossemici, sono derivate dalla biologia e dalla fisiologia. Gli studi sul comportamento animale e in particolare le ricerche condotte da H. E. Howard hanno messo in luce aspetti particolari quali la territorialità, « generalmente definita come quella caratteristica condotta con cui un organismo afferma i propri diritti su di un’area difendendola contro membri della sua stessa specie».
Lo studio delle relazioni tra animali e spazio conduce in altri termini alla individuazione di una sfera territoriale che regola e condiziona il comportamento animale determinando modelli e reazioni differenti, a seconda che essi si sviluppino all’interno o all’esterno dell’area territoriale di ciascuna specie vivente.
Da H. Hediger sono state individuate diverse distanze che corrispondono ad altrettante situazioni comportamentistiche specifiche: la distanza di fuga, che varia da specie a specie, la distanza critica che « comprende lo stretto intervallo che separa la distanza di fuga dalla distanza di attacco», la distanza personale, che ogni animale frappone fra sé e i suoi simili, la distanza sociale, considerata come distanza limite oltre la quale ogni animale ha la sensazione di perdere i contatti con il branco di cui fa parte.
Queste considerazioni offrono ad Hall la opportunità di stabilire paralleli, analogie e confronti tra comportamento animale e comportamento umano. Anche le ricerche dell’etologo Calhoun forniscono ad Hall materia per le sue osservazioni e deduzioni.
Calhoun sperimentò su di una colonia di topi gli effetti dell’aumento parossistico della densità sul comportamento animale che manifestò impressionanti distorsioni. Analogamente nell’ambito dei comportamenti umani, le relazioni tra sovraffollamento e patologia sono evidenziate da Hall che esamina e recepisce i risultati delle ricerche effettuate da Chombard de Lauwes, sugli effetti negativi sociologi e psicologici del sovraffollamento nelle abitazioni cittadine.
Le conclusioni cui giunge Hall possono in sintesi così essere espresse: esiste una soglia di sovraffollamento che varia da popolo a popolo in relazione al differente «grado di coinvolgimento sensoriale e all’uso del tempo». È da ritenersi quindi indispensabile «approfondire le nostre conoscenze per imparare a calcolare esattamente la densità massima, minima ed ottimale delle oasi territoriali di diversa cultura che compongono le nostre città».
Per raggiungere una più profonda conoscenza dei significati dello spazio umano, Hall indaga sui modi e sui termini secondo i quali avviene la percezione dello spazio da parte dell’uomo. A seconda dei diversi ricettori sensoriali umani impegnati nella percezione, si distinguono «spazi» qualitativamente differenti: lo spazio visivo, uditivo, olfattivo, termico e tattile. Il costante riferimento alla psicologia transazionale, inserisce le osservazioni di Hall sul valore della percezione dello spazio da parte dell’uomo, in un preciso quadro culturale.
Alla tesi dell’individualità e della soggettività della percezione, di matrice transazionista, viene aggiunto «il riconoscimento che nomini di diverse civiltà abitano in universi sensoriali diversi e le distanze tra i parlanti, gli odori, la tattilità, la percezione del calore del corpo altrui, assumono, significali culturali». L’uso dello spazio da parte dell’uomo appare strettamente relazionato all’esperienza percettiva e si articola quindi secondo modelli di comportamento che variano nei differenti sistemi culturali.
La possibilità di individuare un denominatore comune nell’uso dello spazio non viene tuttavia del tutto scartata da Hall, che osserva:« Pur tenendo ben presente che ci sono grandi differenze tra le esigenze spaziali dei diversi individui e delle diverse culture, si possono tuttavia fare certe generalizzazioni, e si può stabilire un criterio che ci consenta di ordinare «oggettivamente» il senso delle varie esperienze spaziali. Insomma, la nostra esperienza di uno spazio dato è determinata da ciò che vi possiamo fare: un locale che può essere attraversato in uno o due passi ci dà evidentemente un’esperienza totalmente differente da quella di una sala che ne richiede quindici o venti; una stanza col soffitto così basso che si può toccare dà tutta un’altra impressione di una col soffitto altro tre metri e mezzo».
Le maggiori o minori possibilità di fruizione cinestetica costituiscono un ulteriore elemento di giudizio nella valutazione percettiva dello spazio. È convinzione di Hall che le città americane non consentano nella maggioranza dei casi esperienze cinestetiche stimolanti; in tal modo non verrebbero esplicate tutte le possibili relazioni uomo-spazio e la esperienza percettiva dovrebbe essere considerata incompleta.
Ciò vale a dire in altre parole che lo spazio suscitatore di profondi stimoli sui nostri recettori sensori lo spazio che coinvolge l’uomo e che possiede qualità e aspetti materici e dimensionali tali da consentire un maggior numero di interazioni tra uomo e ambiente, offre garanzia di una più ampia articolazione della gamma molteplice delle relazioni uomo-intorno. Hall fa luce sui rapporti di stretta dipendenza che intercorrono tra l’uomo e il suo habitat. «Il rapporto dell’uomo col suo habitat è in funzione dell’apparato sensoriale e del condizionamento del suo modo di reagire.
Oggi, l’ordito profondo ed inconscio del nostro ego, la vita che si conduce: il flusso che percorre e unifica tutti i momenti dell’esistenza è costituito dagli elementi piccoli e grandi forniti da un sistema sensorio che reagisce ad un ambiente in gran parte prefabbricato della nostra civiltà… Il senso umano dello spazio è strettamente connesso al senso dell’ego, che è in intimo rapporto di transazione con l’ambiente.
L’uomo può essere visto attraverso i vari aspetti (visivo, cinestetico, tattile e termico) del suo io, che possono essere bloccati o sviluppati dal suo habitat». L’evidente legame tra la ricerca di Hall e gli assunti che l’etologia (la disciplina biologica che studia le abitudini, i costumi e gli adattamenti degli animali all’ambiente) tende a dimostrare, sono chiaramente espressi nelle precedenti considerazioni.
La tesi che accomuna l’etologia e la prossemica può considerarsi in sintesi espressa nella proposizione che «sia l’uomo sia l’ambiente sono attivi modificandosi reciprocamente». La prossemica in effetti utilizza i contributi dell’etologia e dell’ecologia (che studia le funzioni di relazione degli organismi con lo ambiente) offrendone una interpretazione in chiave semiotica.
Il fitto sistema di interazioni tra uomo e ambiente, già messo in evidenza da Lynch, si definisce in termini più ampi e comprensivi nella ipotesi avanzata da Hall; mentre la ricerca di Lynch tende alla individuazione delle «pubbliche» immagini della città, essenzialmente derivate dalla percezione visiva, in Hall la percezione umana dello spazio è riconosciuta e relazionata all’intera gamma dei suoi ricettori sensoriali e collegata all’uso umano dello spazio, ai modi di essere dell’uomo nello spazio, ai valori semantici che i comportamenti, costituenti veri e propri sistemi di comunicazione, assumono nei differenti modelli culturali.
Il rapporto transazionale tra l’uomo e l’ambiente in altre parole determina un contesto comunicativo i cui significati sono relazionati ai modelli di comportamento codificati nelle diverse civiltà. P. Fabbri osserva: «il tratto distintivo di queste regole di comportamento sociale, che più di ogni altro le renderebbe soggette ad un trattamento linguistico, è il carattere inconscio e necessario del loro apprendistato e della loro manifestazione.
Non ugualmente distribuite nei differenti livelli di coscienza, regole e programmi delineano una tipologia complessa di modelli disposti a piani secondo una stratigrafia cumulativa nell’inconscio sociale».
I modelli di comportamento umano avrebbero radici nei tre livelli delle manifestazioni dell’individuo che Hall così distingue: manifestazioni infraculturali che si riferiscono alla natura biologica dell’uomo, manifestazioni preculturali relazionate ai caratteri fisiologici degli individui e manifestazioni microculturali che costituiscono il campo di osservazione e di studio vero e proprio della prossemica.
I tre ambiti individuati manifestano interferenze di cui risulta complesso definire con esattezza aspetti e caratteri. Hall è del parere che «la difficoltà metodologica che rende arduo esaminare il passaggio da un livello all’altro discende dalla indeterminatezza essenziale della cultura… Questa indeterminatezza dipende dal fatto che gli eventi culturali agiscono su piani diversi, mettendo un osservatore nell’impossibilità pratica di esaminare simultaneamente, con lo stesso grado di precisione, fenomeni che interessano due o più livelli di analisi o di comportamento assai lontani tra di loro».
Il livello microculturale, di cui si occupa la prossemica, conterrebbe tre categorie di spazio, di cui Hall analizza i caratteri: lo spazio preordinato, lo spazio semideterminato e lo spazio informale.
Per spazio preordinato si intende lo spazio urbanistico delle città, definito nelle volumetrie e negli assi stradali, che viene considerato «alla base dell’organizzazione delle attività individuali e sociali: abbraccia gli aspetti più appariscenti e quelli più nascosti della vita dell’uomo su questa terra, guidandone e condizionandone il comportamento, imprimendosi nel suo intimo.
Gli edifici sono espressione di schemi preordinati: essi si raggruppano insieme in guise caratteristiche, come si dividono nel loro interno secondo disegni stabiliti dal condizionamento culturale. La configurazione del paesaggio umanizzato, fatto di paesi, borghi, città, e di intervalli di campagna, non è disposta a casaccio, ma segue un piano, che muta col trascorrere dei tempi e delle culture». Immediato appare il richiamo all’antropologia strutturale, e ai contributi che ha fornito Lévi-Strauss, particolarmente con le ricerche sulle organizzazione dei villaggi dell’America del Nord e del Sud.
Le ipotesi avanzate da Hall concordano in pieno anche con gli assunti di un’altra branca disciplinare: l’etnologia, che affronta lo studio comparativo delle vicende e degli aspetti caratteristici dei vari popoli; le modificazioni operate sull’ambiente, quindi, avrebbero la capacità di alterare i comportamenti, le abitudini ed i modi di utilizzazione dell’intorno da parte dei differenti gruppi etnici, così come viceversa l’ambiente si strutturerebbe sotto l’azione plasmatrice dei comportamenti umani.
Per la prossemica i concetti di «spazio preordinato» sono mutevoli nelle diverse culture: la concezione dello spazio europeo ad esempio contrasta profondamente con la concezione dello spazio giapponese: «il sistema europeo pone l’accento sulle linee, sulle strade, … il sistema giapponese accentra tutta l’attenzione sui punti di intersezione, quasi dimenticandosi delle linee».
La categoria dello spazio semideterminato include quelle situazioni ambientali delimitate da elementi mobili e quindi variabili. Le considerazioni di Hall su questa categoria gli sono in parte suggerite dai risultati delle ricerche e degli esperimenti compiuti da un medico, Humphrj Osmond; costui aveva osservato che «vi sono degli spazi, come quello delle sale d’aspetto ferroviario, che tendono a mantenere le persone nell’isolamento reciproco, spazi che egli definì di «fuga sociale»; mentre altri, che egli definì spazi di “attrazione sociale”, inducono la gente a riunirsi.
Hall asserisce che questi principi non sono generalizzabili e che categorie di spazio considerati preordinati in una comunità possono assumere le caratteristiche di spazi semideterminati in una diversa civiltà; la stessa considerazione vale per gli spazi di «fuga sociale» e di «attrazione sociale».
Si ribadisce quindi, la tesi della prossemica che considera impossibile esprimere giudizi su qualsiasi aspetto della realtà se non se ne verificano le corrispondenze con i diversi modelli culturali che li sottendono.
La terza categoria di spazi che la ricerca prossemica individua è chiamata «informale». Le osservazioni sulla qualità e sui caratteri dello spazio informale costituiscono uno dei contributi più interessanti forniti da Hall e più ricchi di aperture a nuovi campi di ricerca e di analisi. Lo spazio informale comprende « le distanze mantenute nei vari tipi di rapporto con l’altro. Queste distanze sono in generale stabilite secondo schemi inconsapevoli… Gli schemi dello spazio informale comprendono confini e tracciati distinti, e significati così profondi, anche se inespressi, da costituire una parte essenziale della cultura».
La prossemica individua una tipologia delle distanze dell’uomo, così come, in precedenza, erano già state individuate da Hediger per le specie animali, riconoscendo quattro distanze fondamentali: distanza intima, distanza personale, distanza sociale, distanza pubblica. A ciascuna di queste distanze corrisponde un livello di coinvolgimento sensoriale ed un modello di comportamento umano. La prossemica indaga sulle sfere spaziali che l’uomo «possiede intorno a sé come estensione della sua persona… La capacità di riconoscere queste varie zone di coinvolgimento e le attività, relazioni, emozioni associate a ciascuna è ora diventata di estrema importanza».
Le distanze che si frappongono fra gli individui e le sfere spaziali che li circondano costituiscono altrettanti sistemi di comunicazione che trasmettono messaggi i cui significati sono comprensibili se si rapportano alle abitudini ed alle convenzioni culturali delle diverse civiltà. Ricca di prospettive, per la ricerca dei valori semiotici dello spazio, la considerazione di P. Fabbri «che nello spazio che l’uomo attraversa, la serie intera dei suoi incontri (transazioni), disegna delle figure significative.
Figure codificate allo stesso livello delle regole della parentela, del galateo, delle forme della civiltà. Acquisire i significati che l’adozione di una determinata distanza può assumere presuppone l’individuazione dei meccanismi che fanno disporre gli individui in differenti posizioni dello spazio; in questo comportamento, essi usano i sensi per distinguere fra uno spazio o distanza e un altro. La distanza scelta dipende da un rapporto di transazione: il tipo di relazione fra gli individui che interagiscono, il loro sentimento della situazione e ciò che stanno facendo».
Hall tenta di riconoscere le leggi e di ricostruire le regole che indirizzerebbero i comportamenti umani al fine di individuare il ruolo che essi assumono quali sistemi di significazioni. Osserva che «come per la gravità, l’influenza reciproca di due corpi è inversamente proporzionale non solo al quadrato della distanza ma forse anche al cubo dell’intervallo interposto».
Le significazioni nascoste rappresentate dall’uso umano dello spazio non sono riconoscibili se non si superano i pregiudizi e le errate convinzioni che limitano le possibilità di interpretazione dei comportamenti umani. «La generale incomprensione dell’importanza dei molti elementi che contribuiscono al senso dello spazio sembra dovuta a due principi sbagliati:
l) che per ogni effetto vi sia una causa sola e sempre identificabile;
2) che il «confine» dell’uomo coincide con quello del proprio corpo. Se ci sbarazziamo della pretesa ad una spiegazione unica e se pensiamo che l’uomo sia inserito in una serie di «campi» che si espandono e si contraggono fornendo informazioni di vario genere, cominceremo a vederlo in una luce completamente diversa».
I campi di indagine della prossemica comprendono anche l’individuazione degli elementi differenziali che caratterizzano il senso e l’uso dello spazio nelle diverse civiltà. Le annotazioni della prossemica su tale argomento contengono elementi di particolare interesse e possono fornire la base per un discorso più vasto e per ulteriori approfondimenti in altri campi disciplinari.
Il costante riferimento tra il senso dello spazio e contesto culturale in cui si sviluppa, la relazione esistente tra usi, abitudini, convenzioni di alcuni popoli e i termini secondo i quali vengono esplicati modelli di comportamento e di uso dello spazio, sono oggetto della indagine prossemica che tenta classificazioni, raggruppamenti, e stabilisce confronti.
Le esperienze spaziali si configurano in maniera difforme nelle diverse civiltà, determinando sistemi di comunicazione i cui significati vanno interpretati caso per caso, e di cui non è possibile stabilire generalizzazioni. Il significato di una distanza o di una disposizione di oggetti e volumi nello spazio può assumere valori totalmente diversi se ci riferiamo ad esempio a popoli occidentali od orientali.
Anche tra i popoli che appartengono ad un unico sistema culturale è possibile riconoscere che a modelli di comportamento codificati corrispondono sfumature di interpretazioni che ne variano alcune caratteristiche. «Quando un occidentale fa riferimento, col pensiero o con la parola, allo spazio, ha in mente la distanza che intercorre fra gli oggetti: è condizionato a guardare e a reagire agli oggetti considerando lo spazio qualcosa di vuoto.
Che cosa veramente ciò voglia dire, diventa chiaro solo se lo paragoniamo col modo di percepire giapponese, che dà invece un senso agli spazi, evidenziandone forme e configurazioni.
Questo concetto è designato da un suo termine proprio il «ma». Il «ma» (o intervallo) è un elemento base di tutta l’esperienza giapponese. La cultura giapponese, osserva Gregotti, non conosce la nozione di spazio in sé, ma ha un modo graduale di ordinare l’ambiente che è un modo che i giapponesi descrivono su tre gradi differenti e si chiamano: il disordine apparente, l’ordine geometrico e l’ordine sottile».
Hall indica tra gli altri fattori distintivi nei comportamenti umani il grado di coinvolgimento sensoriale e l’uso del tempo. Il grado di coinvolgimento sensoriale dovrebbe indicare la maggiore o minore partecipazione sensoriale dell’individuo in rapporto con gli altri individui o in relazione agli eventi esterni; l’uso del tempo, è determinato dai modi di programmare e distribuire le azioni.
Sono individuati due modi contrastanti di utilizzare il tempo, adottati nelle diverse civiltà: tempo monocronico e tempo policronico. «Il primo è caratteristico dei popoli a basso livello di coinvolgimento, che usano dividere il tempo in tanti scomparti e programmare una cosa alla volta, e si disorientano quando devono affrontare troppe faccende contemporaneamente. Il secondo è usato da quei popoli che, probabilmente a causa dell’alto livello di coinvolgimento, tendono a svolgere parecchie operazioni in una volta sola, come giocolieri.
L’individuo monocronico, quindi, troverà in generale più funzionale separare le attività distinte in spazi diversi, mentre il policronico tenderà a radunarle tutte insieme».
La prossemica, come s’è detto, mettendo in luce le sostanziali differenze dell’esperienza spaziale nei diversi popoli, tende ad affermare che l’architettura e l’urbanistica non possono sottrarsi alla consapevolezza delle interazioni uomo-ambiente che acquistano, nelle diverse situazioni culturali, sfumature differenti di significati.
Questa affermazione, che si condivide facilmente, ha bisogno di definizioni più precise e di approfondimenti più rigorosi. Trasponendo i concetti derivati dalla indagine prossemica all’urbanistica ed all’architettura, Hall formula alcune ipotesi sulla organizzazione urbana fornendo indicazioni agli operatori urbanisti ed architetti che si arrestano a delle formulazioni abbastanza vaghe e generiche.
La deplorazione della attuale megalopoli, che non consentirebbe l’esplicazione di comportamenti corretti, l’osservazione della mancanza di spazio negli alloggi e la constatazione della assoluta indifferenza alle esigenze umane ed ai modelli di comportamento di molti schemi di organizzazione urbana e spaziale a scala architettonica, non aggiungono molto a quanto negli ultimi anni già da altri studiosi hanno affermato.
I compiti che Hall assegna all’urbanistica del futuro hanno il valore di semplici enunciazioni generiche se non si precisano i modi secondo cui l’urbanistica e l’architettura possano recepire le indicazioni fornite da un codice antropologico quale in effetti vuole essere la prossemica.
I problemi proposti e che sinteticamente possono essere così enunciati sono:
«1) Trovare il modo di calcolare e misurare la scala umana in tutte le sue dimensioni, comprese quelle più celate e profonde…
2) Fare un uso costruttivo dei comprensori etnici…
3) Conservare spazi cittadini aperti, ampi, sgombri e agiati…
4) Preservare i vecchi edifici e i vecchi quartieri ancora utili e soddisfacenti dalla distruzione della… ricostruzione urbana» .
Tale problematica, a questo livello di formulazione, non riesce a dare un contributo scientifico che possa essere realmente utilizzato dagli architetti. In definitiva il più valido apporto della prossemica non supera il livello teorico e speculativo, non riuscendo ancora a fornire strumenti utilizzatili operativamente per la configurazione degli spazi urbani.
Più che le considerazioni esplicitate da Hall sulla megalopoli e sulle ipotesi per la città futura, alcuni riferimenti impliciti ed enunciati teorici possono aprire prospettive di ricerche interdisciplinari che interessino l’architettura.
L’interrogativo che P. Fabbri si pone: «nell’architettura e nell’urbanistica, bisogna cercare forme la cui sostanza non sia nient’altro che lo spazio?» tocca direttamente i nostri problemi. L’architettura dovrebbe stabilire un più intenso rapporto di coinvolgimento sensoriale con l’individuo, se la percezione dello spazio non è solo percezione visiva e cinestetica, ma investe l’intera gamma dei ricettori sensoriali. Nuove prospettive si aprono alle ricerche architettoniche se vogliamo che allo spazio sia assegnata una maggiore carica stimolatrice di rapporti interazionali con gli individui.
Possono essere pienamente condivise le considerazioni critiche espresse da Fabbri sul valore degli studi prossemici:«resta da percorrere ancora molta strada, …ma ci sembra pertanto la sola possibilità valida per articolare un modello spaziale che sia la proiezione delle categorie semantiche universali, di un atlante prossemico che indirizzerebbe una configurazione semiotica del mondo localizzandovi l’uomo.
Anche per la prossemica si è ancora una volta attuato il processo metodologico caratterizzante le scienze sociali. Così come le scienze naturali conoscono i loro problemi, si interrogano sulle ipotesi, discutono dei risultati, così le scienze sociali si interrogano sui problemi, parlano dei metodi e tacciono sui risultati. Bisognerà dunque che lo studioso faccia di tutto per mettere a fuoco questo nuovo campo di ricerche dove tutto è espresso nei suoi segni muti, ma dove tutto è rifluito nei suoi significati».
La possibilità che i risultati degli studi prossemici vengano utilizzati dall’architettura richiede un duplice sforzo di chiarimento in entrambi gli ambiti disciplinari: mentre la prossemica dovrà specificare ed esplicitare meglio i valori semiotici spaziali che più direttamente interessano l’architettura e l’urbanistica, d’altra parte è necessario che si individui a che livello ed in quali termini nel processo progettuale è possibile innestare le considerazioni ed i dati che la prossemica fornisce.
Anche in questo caso, affiora il problema della determinazione di un rapporto tra un codice antropologico, prossemico, che può giungere alla decifrazione completa dei significati linguistici che gli sono propri, e l’architettura di cui non si identifica ancora con chiarezza la possibile codificazione. Il discorso investe quindi la valutazione del ruolo e dei significati che assumono le acquisizioni delle altre discipline nell’architettura. Ciò perché, come afferma Eco, «quello che l’architettura mette in forma (un sistema di relazioni sociali, un modo di abitare e di stare insieme) non appartiene all’architettura, perché potrebbe essere definito e nominato (e potrebbe sussistere), anche se, per ipotesi non esistesse l’architettura.
Un sistema di relazioni spaziali quale studia la prossemica, un sistema di relazioni parentali quale studia l’antropologia culturale, sta fuori dell’architettura… E dunque l’architettura deve andare a cercare quel sistema di relazioni là dove è messo in forma». D’altra parte, come molto acutamente ha osservato Tafuri, bisogna tener conto delle interrelazioni e delle reciproche influenze che un sistema di significazioni (quali ad esempio la prossemica), stabilisce con gli altri sistemi che l’architettura comprende. «Per questo, nel definire la sostanza di un codice architettonico è opportuno far ricorso alla formula elaborata da Roman Ingarden e da Wellek e Warren per la letteratura: codice come sistema di sistemi…
Da un lato è lo studio delle varie strutture socioculturali che entrano a far parte dei linguaggi architettonici: i sistemi simbolici, il problema della conoscenza, il comportamento sociale, le modificazioni indotte su tali domande dalle proposte degli architetti, le leggi della visione, le condizioni della tecnica ed i suoi intrinsechi significati, ecc. Dall’altro è lo studio delle interazioni che i vari sistemi esercitano reciprocamente: lo studio delle deformazioni, in sostanza, che ogni sistema di valori subisce nell’entrare a fare parte di un codice artistico».
Il tema della necessità della definizione in architettura di un reticolo strutturale nel quale vadano a collocarsi le significazioni extradisciplinari, indispensabile per valutare il possibile recupero, in chiave architettonica, delle ricerche della prossemica, in questa trattazione necessariamente può essere solo brevemente sfiorato.
Le considerazioni sull’opportunità di approfondire la relazione tra comportamento umano e architettura e i contributi che gli studiosi di architettura in questo campo tentano di fornire con interpretazioni ed osservazioni specifiche, ancora non riescono, dopo il razionalismo, a far individuare i termini di traduzione dei significati extradisciplinari in significati architettonici; attualmente nessuna delle poetiche contemporanee è giunta a prospettare, con chiarezza, il valore ed il ruolo dei contributi interdisciplinari ai processi costitutivi dell’architettura.
Alcune osservazioni di Norberg-Schulz possono offrire un’idea del livello di approfondimento del tema delle interrelazioni uomo-ambiente in un saggio che tenta di sistematizzare l’operare architettonico: «Da un punto di vista teorico è importante riconoscere che gli oggetti sociali sono poli possibili nella totalità architettonica, e che è necessario indicare il loro ruolo.
In generale si può dire che un’attiva partecipazione all’interazione umana rientra nel compito edilizio. Gli edifici e le città dividono e riuniscono gli uomini, mentre si creano «ambienti» adatti per varie attività pubbliche (o private). Un ambiente è caratterizzato dalle sue «possibilità» di vita sociale, e queste devono soddisfare le esigenze ambientali…
Un ambiente è sempre definito relativamente a particolari attività.
Lo stesso ambiente non si adatta a tutti i generi di interazioni. L’ambiente perciò non consiste soltanto di differenti espressioni significative, ma anche di una «gerarchia» di esse. Le sue singole espressioni sono in correlazione con determinate attività. Spesso questa correlazione è una pura questione di abitudine, in quanto siamo abituati ad usare oggetti fisici in particolari occasioni.
Ma si deve anche riconoscere il fatto che un determinato ambiente fisico si adatta solamente a certe attività per cui le abitudini sono raramente casuali» . Queste affermazioni appaiono abbastanza generiche se non si chiarisce in base a quali considerazioni si debbano esprimere giudizi sulla adattabilità o meno di un ambiente a determinate attività, poiché a seconda che la valutazione avvenga sulla scorta di osservazioni puramente funzionali, o in base a considerazioni comportamentistiche o ad esigenze psicologiche, possono essere formulati giudizi totalmente differenti sulle attitudini di uno spazio a contenere attività specifiche.
Norberg-Schulz aggiunge ancora: «Per il momento vogliamo soltanto sottolineare che qualsiasi attività deve svolgersi entro una cornice psicologicamente soddisfacente, è stato dimostrato che la cornice architettonica può essere favorevole o meno, ossia che esercita un’influenza sulla nostra attitudine. Quindi potremmo anche definire l’ambiente come l’effetto psicologico di ciò che sta intorno».
L’obiettivo di evidenziare i caratteri delle differenti «dimensioni» che intervengono nell’opera architettonica, e di individuare le interrelazioni che tra i diversi sistemi si stabiliscono, può dirsi conseguito nel saggio di Norberg-Schulz, anche se, come testimonia il brano riportato, mancano approfondimenti specifici nell’ambito di ciascuna «dimensione individuata» e non vengono evidenziati significati ed interpretazioni (nel caso specifico per le relazioni uomo-ambiente) che non siano già generalmente riconosciuti.
L’esigenza ampiamente avvertita di precisare i caratteri del rapporto individuo-ambiente, induce a diverse interpretazioni ed ipotesi circa il valore dei reciproci condizionamenti tra i due ambiti. Uno dei possibili atteggiamenti nei confronti del problema è prospettato da Gregotti che individua anche i campi di ricerca entro i quali occorre ancora indagare:«non si deve pretendere, attraverso la costituzione dell’ambiente fisico di guidare o di controllare il comportamento umano.
Quello che noi vogliamo è semplicemente rendere l’ambiente fisico più provocatoriamente disponibile alla immaginazione della società futura. Da questo punto di vista il ventaglio dei problemi che noi dobbiamo risolvere è molto alto e molto complesso. Bisogna cercare di capire un po’ più chiaramente quali sono le interazioni che esistono tra l’ambiente e il comportamento umano. A quale livello della scala dei valori, ad esempio, nel nostro modello di cultura, è collocata questa nozione di significazione dell’ambiente. Se abbiamo interesse per la sua identità o non ne abbiamo».
A molti di questi interrogativi, come s’è detto, tenta di rispondere la prossemica mentre sembra più complesso individuare i termini di utilizzazione dei dati prossemici per la progettazione. Infatti, se il configurare spazi per le medesime funzioni, in Germania o in Giappone, presuppone la individuazione di significati totalmente differenti, si dovrebbe dedurre che l’architettura è tenuta a cambiare essenza e caratteri nelle diverse situazioni culturali.
Al contrario, le ipotesi avanzate da Eco suggeriscono una interpretazione che consente il recupero dei valori prossemici senza che l’architettura assuma il carattere di oggetto destinato ad una rapida obsolescenza in funzione delle variazioni dei modelli culturali comportamentistici di base: «Ora ecco che i problemi di prossemica costituiscono uno degli aspetti di quei codici antropologici in base ai quali la progettazione dovrà reinventare poi le proprie forme significanti. Ma nel fare questo ci si accorgerà che dal momento che la distanza di m. 3,20 tra me che parlo e l’altro che ascolta, muta di significato a seconda se il fatto avvenga in Germania o in Francia, la progettazione si dovrà accorgere che il suo problema non è tanto quello di costruire forme dal significato più preciso, più limpido, più pregnante e più profondo, ma al contrario, forme il più possibile disponibili a significati diversi».
Si individuano quindi due atteggiamenti a livello progettuale, cui dovrebbe corrispondere un diverso uso delle risultanze degli studi prossemici: o l’architettura accentua quei caratteri di ambiguità e di plurivalenza, che consentano ai suoi fruitori di esplicare differenti modelli di comportamento, congeniali a ciascun gruppo etnico; ed in virtù della possibilità di attribuire più significazioni alle forme archi tettoniche, lo spazio venga di volta in volta riconfigurato, o si definiscono spazi che rispondano alle precise esigenze prossemiche non solo dei diversi popoli, ma anche dei sottogruppi etnici che si possono riconoscere in una stessa civiltà.
In questo secondo caso gli architetti dovrebbero individuare una gamma di tipologie che soddisfino i diversi schemi prossemici. È questo il parere di Koenig che osserva: «Lo studio prossemico distrugge ogni residua speranza di creare «uno stile internazionale», o tipologia standardizzata universalmente valide. Se ogni forma ha un valore in quanto significa uno spazio…, le differenze antropologiche fra i diversi usi dello «spazio prossimo» fra civiltà e civiltà, fra popolo e popolo, rendono impossibile pensare a standard molto larghi, universalmente accettabili; e quindi non possono ragionevolmente dar luogo a significanti (forme) simili».
Sia Koenig che Zevi sottolineano inoltre l’importanza che la prossemica può assumere anche come strumento di studio e di valutazione critica dell’architettura di tutti i tempi: la lettura in chiave prossemica degli spazi wrightiani ha offerto ad Hall la possibilità di evidenziare aspetti di profondo interesse della sua concezione spaziale: «Il vecchio Albergo Imperiale di Tokio, fornisce agli occidentali un insieme compatto di esperienze visive, cinestetiche e tattili che fanno sentire di essere in un altro mondo… Gli stessi lunghi vestiboli armonizzano con l’edificio tenendo le pareti laterali letteralmente a portata di mano.
Wright, che era un vero artista nella scelta dei materiali usò i mattoni più rozzi, che sporgevano più di un centimetro dalla superficie di calcina liscia e dorata che li separava. Camminando per questi vestiboli, l’ospite si trovava quasi costretto a far scorrere le dita lungo le scannellature… Con questo artificio, Wright voleva rendere più intensa e penetrante la esperienza spaziale coinvolgendo intimamente i visitatori con le superaci dell’edificio».
Ovviamente la utilizzazione della prossemica quale parametro di giudizio critico va condizionata alla possibilità di ricostruire i valori prossemici che corrispondono ai modelli di comportamento esplicantesi al tempo e nei luoghi ove sorsero le opere architettoniche da esaminare. L’operazione di individuazione degli schemi prossemici del passato appare quindi abbastanza complessa e problematica.
In effetti si riafferma ancora una volta, in termini diversi, Che opera architettonica è contesto sociale risultano intimamente connessi e che di tali relazioni non si può non tener conto in sede-di valutazione critica.
Minori difficoltà si prospettano per la utilizzazione della prossemica nella valutazione dell’architettura moderna e contemporanea.
Anche se il giudizio complessivo su di un’opera non può essere profondamente modificato per carenze manifestate nei campi di indagine prossemica, pur tuttavia alcune considerazioni possono porre in luce aspetti e problemi finora scarsamente valutati: è «piuttosto grave (anche se pochissimi lo hanno detto) — afferma Koenig ad esempio — che gli indiani di Chandigarh abbiano dovuto murare i balconi delle loro case per adattare la concezione spaziale di Le Corbusier alla propria».
È, indubbio che la prossemica abbia aperto nuovi orizzonti non solo agli architetti e agli urbanisti, ma anche ai critici, agli studiosi di storia dell’architettura, anche se alcuni aspetti e formulazioni nella ricerca di Hall lasciano dubbiosi e non sono esenti da critiche. Giustamente Zevi avanza due riserve alla tesi di Hall: «Anzitutto, il bisogno di individuazione non può essere arrestato al livello del gruppo etnico; riguarda anche la famiglia e il singolo. Non basta dire: per ogni popolo uno stile, una trama spaziale. Wright affermò un pensiero più avanzato: per ogni uomo uno stile.
La seconda obbiezione riguarda il quadro ideologico di Hall, affetto sia da una visione eccessivamente statica dei diversi costumi spaziali, sia da una notevole dose di illuminismo.
Sembra quasi che basti capire le esigenze ed appagarle in modo a-critico per salvare il mondo… il problema invece non consiste nel «che», ma nel «con chi», si progetta, cioè nella dimensione extra-disciplinare dell’architettura, l’unica che consenta interventi organici ma attivi e rinnovatori».
In definitiva sarà sempre compito degli architetti trasferire i risultati delle ricerche delle altre discipline nel campo dell’architettura e dell’urbanistica e innestare, selezionare e rielaborare considerazioni ed osservazioni recepite sotto forma di materia, non ancora intenzionalizzate ed immetterle nel processo progettuale.
Rimane questa l’unica strada che sembra poter sottrarre l’architetto alle esercitazioni formalistiche, che conducono a separare, in architettura, il significante dal significato, la forma dallo spazio, e propugnano forme-involucro i cui valori semantici spaziali vengano configurati in virtù dello «spontaneismo», non acquistando coscienza della complessa rete di aspetti e problemi sottesi alla proposizione degli spazi architettonici ed urbanistici. Spazi dichiarati disponibili per ogni tipo di attività, in effetti non lo sono affatto — dal momento che tale attributo non può essere considerato una dimensione ed una condizione preterintenzionale dell’opera architettonica — finché non lo si riesca a dimostrare ed a valutare anche in funzione delle istanze comportamentistiche.
Anche le recenti analisi di R. Pages, sugli aspetti psicosociologici delle finalità della costruzione di uno spazio abitabile, hanno dimostrato che esiste la possibilità di giungere a riconoscere categorie e classificazioni degli spazi in funzione delle particolari interazioni che vi si attuano.
Concordiamo quindi con Eco quando afferma: «Costretto a trovare forme che mettono in forma sistemi di esigenze su cui non ha potere, costretto a articolare un linguaggio, come l’architettura, che deve sempre dire qualcosa di diverso da se stesso… l’architetto si trova condannato, per la natura del proprio lavoro, ad essere forse l’unica e ultima figura di umanista della società contemporanea: “obbligato a pensare la totalità” proprio nella misura in cui si fa tecnico settoriale specializzato, inteso a operazioni specifiche e non a dichiarazioni metafisiche».
tratto dai numeri 13 — 14