La poetica urbanistica di Lynch

LUCIANA DE ROSA
[…]Moltissimo è stato scritto a proposito dell’estetica della città. La bibliografia è, infatti, molto ampia. Tuttavia sono stati fatti pochissimi tentativi per analizzare sistematicamente la natura e le caratteristiche dei valori formali delle nostre città. Fino ad oggi l’analisi più completa dell’argomento ci è stata fornita da C. Tunnard nel suo eccellente libro La città dell’uomo. S. Williams ci ha dato importanti contributi per la conoscenza diretta della città del presente. Contributi in questa direzione ci sono stati dati da P. Zucker.

Il più intenso lavoro, in questa direzione, è stato compiuto recentemente da G. Kepes e K. Lynch. Fagin e Weinberg che hanno fatto uno studio completo per un programma operativo tendente a migliorare l’aspetto della città. Altri (troppo numerosi per citarli tutti) da Sitte a Giedion, a Zevi a Grady Clay, hanno contribuito alla conoscenza dell’aspetto visivo delle città.
Escludendo la possibilità di offrire una rassegna panoramica di tutta la produzione americana nel campo, ci limiteremo, in questa sede, ad analizzare l’opera di Kevin Lynch, in quanto riteniamo che essa, per la sua originalità, rappresenti un contributo, valido di per se stesso, e ricco di spunti e di aperture per maggiori approfondimenti e per nuovi studi.
Pur ammettendo, come scrive Gutheim l’esistenza di una continuità fra i problemi dell’estetica architettonica e quelli della forma della città, Lynch ha compiuto un passo fondamentale nella definizione di questi ultimi, rivendicando una loro problematica autonoma. La ricerca di Lynch, infatti, focalizza il proprio interesse sulla città e, per i problemi che questa pone, tenta un approccio sistematico mediante la costruzione di una teoria che individua un sistema di analisi e di valutazione delle forme urbane.
Nel saggio scritto con Rodwin su A theory of Urban Form, egli pone l’accento sull’influenza che, sulla vita e l’attività della città, ha la forma fisica della città stessa: «La comprensione dei diversi effetti di diverse forme fisiche e della localizzazione delle attività umane in relazione alle forme fisiche è, o dovrebbe essere, il maggior impegno, in fase di indagine, del
pianificatore spaziale e sottolinea l’esigenza che tale forma fisica sia congruente, cioè realizzi, gli obiettivi estetici, sociali ed economici che il pianificatore, interpretando le esigenze della società, si propone». Infatti, il compito principale del pianificatore spaziale è di capire l’ambiente fisico e di cercare di dargli una forma che assecondi gli obiettivi della comunità.
Egli individua quindi il vertice teorico del lavoro di pianificazione nello studio sistematico delle interrelazioni fra le forme urbane e gli obiettivi umani; tuttavia, non può non rivelare come, allo stato attuale dei fatti, la scelta della forma si basi il più delle volte su elementi tradizionali o di intuizione o sulla superficiale attrazione della semplicità. Egli rileva inoltre che, una volta costruite, le forme vengono di rado ulteriormente analizzate nella loro effettiva capacità di raggiungere gli obiettivi originariamente posti. Ed ancora che, lo studio del disegno urbano, avviene essenzialmente a livello delle singole parti della città, non nel suo insieme. Le vedute prevalenti sono statiche e frammentarie.
La determinazione quindi della forma urbana in funzione degli obiettivi generali del processo di sistemazione del territorio, nell’ambito di una visione attuale del momento storico in cui si è chiamati ad operare, sembra essere il campo di azione, proprio del disegno urbano, inteso, questo, come quella parte dell’urbanistica che si occupa dell’aspetto visivo e che definisce l’ordine e la forma della città.
Il punto cruciale del problema che egli pone emerge, tuttavia, nel momento in cui, dalle definizioni teoriche si passa alla proposta di termini operativi. In tal senso la «teoria» di Lynch e Rodwin, che appare, in se stessa, un po’ semplicistica, acquista un suo valore in quanto rappresenta il primo tentativo di tradurre in pratica l’esigenza di sistemare scientificamente una disciplina, basata, finora, soltanto su metodi intuitivi ed empirici.
Tuttavia al di là dell’eleganza o della logica di una formulazione teorica, questo sistema analitico, per il suo carattere essenzialmente normativo, può trovare la sua maggiore utilità in sede operativa, come strumento sistematico e logico di analisi della forma della città. Infatti, come gli autori stessi affermano nell’esprimere un giudizio conclusivo sul proprio lavoro, la loro teoria si riferisce a qualcosa che, almeno in parte, deve restare una complessa forma d’arte, un’arte ancora estranea al rigore della conoscenza scientifica.
Infatti le complesse relazioni sembrano eludere una teoria rigorosa e dipendere, invece, da un giudizio personale, e il «metodo» può soltanto verificare soluzioni alternative precedentemente proposte. Nonostante il fascino che, in questo lavoro, può avere l’applicazione di un metodo scientifico, il compito creativo di inventare nuove soluzioni e nuove forme, come in tutti i campi dell’arte e della scienza, è al di sopra di qualsiasi teoria scientifica.
Chiariti i limiti concettuali e operativi del loro contributo, Lynch e Rodwin individuano due tipi di elementi fondamentali, adopted spaces per lo svolgimento delle attività umane, e flow sistems per il movimento degli uomini, delle merci, delle notizie, dell’energia; elementi fisici che, indipendentemente dalle attività e dal movimento, costituiscono la città e ne definiscono la forma.
Per analizzare e valutare tale forma, essi propongono poi sei categorie analitiche: elementi, quantità, densità, grana, organizzazione dei punti focali, distribuzione spaziale, alle quali essi ritengono sia sempre possibile riferire qualsiasi configurazione spaziale urbana. Con tali categorie successivamente gli autori ritengono di poter analizzare anche quegli aspetti della forma urbana definiti nel tempo dai fattori socio-economici.
Da quanto precede risulta che A theory of Urban Form è un saggio che non propone un sistema basato su principi generali, ma tende ad offrire uno strumento logico atto a valutare, caso per caso, diverse configurazioni spaziali in rapporto agli obiettivi umani che esse realizzano.
A dimostrare il carattere positivamente strumentale di questo studio Lynch e Rodwin mostrano una costante esigenza di verificare sperimentalmente i loro principi teorici, esigenza che emergerà ancora più chiaramente negli studi di Lynch sulla forma percettiva della città.
Nel suo libro fondamentale, The Image of the city, scritto nel 1959, a conclusione di una serie di ricerche compiute in Italia e in America Lynch restringe e specializza l’ambito del proprio interesse.
Ferma restando la sua esigenza di sistemazione empirico-scientifica della disciplina urbanistica, Lynch giunge alla formulazione di cinque categorie di elementi fisici (strade, creste, distretti, nodi, punti focali) ai quali riferire qualsiasi configurazione spaziale urbana. Il suo studio, partendo da matrici psicologiche, tende a valutare la forma della città, ponendola in costante rapporto con l’immagine che essa genera.
Con evidente riferimento al concetto di transazione (riferimento che unitamente a numerosi altri viene da Lynch taciuto) egli afferma: «L’immagine di un ambiente è il risultato di un processo di interazione fra osservatore e ambiente: l’ambiente suggerisce distinzioni e relazioni e l’osservatore, con grande capacità di adattamento, e in funzione dei propri interessi, seleziona, organizza e riempie di significato ciò che vede: l’immagine, costruita in tal modo, limita o accentua i caratteri dell’oggetto percepito, mentre viene, essa stessa verificata nelle sue capacità di essere percepita, in un costante rapporto di interazione».
L’immagine di un ambiente è quindi qualcosa di estremamente soggettivo e, in quanto tale, poco o nulla sottoponibile ad uno studio e ad una classificazione in termini oggettivi, analitici o scientifici. Esiste, tuttavia, la possibilità di superare questa impasse per giungere alla formulazione di un sistema analitico di classificazione degli elementi dello spazio urbano.
Ogni individuo crea e sostiene la propria immagine; tuttavia, sembra esistere una sostanziale analogia fra i membri dello stesso gruppo. Sono queste public images quelle che interessano i progettisti che aspirano a modellare un ambiente fruibile da più persone. In tal modo, partendo da un approccio sperimentale, dallo studio della forma di alcune grandi città americane (Boston, Los Angeles e Jersey City) in base alla immagine di esse, quale viene ritenuta dagli abitanti, Lynch giunge alla definizione di un sistema di analisi e di classificazione della forma della città, convinto che è oggettivo e reale ciò che appare, al di là delle interpretazione soggettive del singolo.
L’oggetto del suo studio è quindi la città visuale, la città, cioè, che, al di là delle sue numerose funzioni, deve essere vista, ricordata e goduta dagli uomini. Infatti, egli continua, noi abbiamo oggi l’opportunità di configurare il mondo delle nostre città in un paesaggio di cui riusciamo a formarci un’immagine visibile, coerente, chiara. Essa richiederà una nuova capacità percettiva da parte dei cittadini, e nuove forme fisiche, che si organizzano di livello in livello nel tempo e nello spazio, che possano rappresentare dei simboli per la vita umana e che siano, esse stesse, simboli della vita umana.
Più avanti Lynch afferma: «dare una forma visiva alla città è un problema di progettazione di tipo particolare, attualmente abbastanza nuovo.., che deve essere riferito alla percezione della città nel suo insieme: non può, cioè, limitarsi allo studio delle singole parti della città, a scala architettonica. L’unità della città, la sua forma, è qualcosa che non deve essere assolutamente valutato in termini di “colpo d’occhio”, ossia di “intera area compresa nel giro dello orizzonte”, ma piuttosto come esperienza completa, che può estendersi per molti chilometri per molti giorni».
Con un assunto che risale alla totalità della teoria gestaltica, per Lynch la forma visiva della città non è la somma delle singole parti di essa, ma piuttosto il modo in cui queste si aggregano e si integrano nell’immagine mentale, quale viene ritenuta dai suoi abitanti; qualità visiva fondamentale è la «leggibilità» del paesaggio urbano… ossia la facilità con la quale le diverse parti possono essere individuate ed organizzate in uno schema coerente… Una città « leggibile» è quella in cui zone, punti nodali, strade sono facilmente identificabili e facilmente raggruppabili in un modello generale.
Una città è leggibile quindi, quando l’immagine che di essa viene percepita riflette in modo chiaro e coerente la sua organizzazione spaziale ed il modo di aggregazione delle sue parti. L’immagine può essere analizzata secondo tre componenti: identità, struttura, significato… utile fare questa distinzione per rendere chiaro il discorso, anche se in realtà le tre componenti appaiono sempre insieme.
Una immagine richiede prima di tutto la identificazione di un oggetto, il che implica la sua distinzione da altri oggetti, la sua riconoscibilità, come un’entità indipendente. È detta identità, non nel senso di uguaglianza con qualche altro elemento, ma per significare la propria individualità. Secondo, l’immagine deve evidenziare il legame, spaziale o schematico, dell’oggetto rispetto all’osservatore e rispetto agli altri oggetti. Infine, questo oggetto deve avere un significato per l’osservatore, significato funzionale, emozionale o simbolico. Il significato è esso stesso un legame, ma del tutto diverso da quello spaziale o schematico.
La valutazione del valore simbolico della città, valore riferibile e rintracciabile sia nelle diverse parti della città, sia nella sua forma globale è, tuttavia, un problema estremamente complesso, in quanto immagini di gruppo, riguardanti il significato, sembrano essere meno consistenti, a questo livello, di quanto non lo siano le percezioni di entità e di relazione. Inoltre, il significato simbolico di un ambiente o di un paesaggio non è così facilmente influenzato dalle trasformazioni fisiche, come la sua struttura e la sua identità.
Non sono, infatti, le singole strutture che esprimono i «rapporti di interazione» di una società – se è vero che le stesse strutture (residenziali, produttive, ricreative, direzionali) sono presenti in società organizzate su basi ideologiche completamente diverse – ma il valore che le diverse società attribuiscono alle diverse strutture, e che si riflette sul modo in cui ciascuna struttura si affianca alle altre, e nel rapporto reciproco che tale modo definisce.
Come è stato stabilito da Lukashok e da Lynch, un aspetto della città che viene ritenuto nella memoria più vividamente sia dai giovani che dagli adulti è quello simbolico – quell’aspetto della città che ha un importante significato espressivo.
Ciò porta alla definizione di ciò che chiameremo «imageability»: la qualità di un oggetto fisico, di avere una alta probabilità di evocare una immagine forte, in un osservatore qualsiasi. Anche questa nuova qualità, riferita ai valori dell’immagine che l’ambiente genera, più che all’ambiente stesso, deve essere valutata rispetto all’ambiente globale, ad una scala significativa.
Una riorganizzazione cosciente di un ambiente fisico a grande scala è stato possibile solo recentemente. Noi stiamo rapidamente costruendo una nuova unità funzionale, la regione metropolitana: dobbiamo tener conto che questa unità, proprio perché tale, deve avere la sua immagine. Susanne Langer pone il problema, nella sua breve definizione di architettura: «È l’ambiente globale reso visibile»
In sintesi, quindi, l’interesse dello studio di Lynch è focalizzato sul rapporto che, in generale, esiste fra l’ambiente e i suoi caratteri fisici, e l’immagine mentale di esso: a quest’ultima, e non all’ambiente fisico che la genera egli attribuisce un ruolo sociale, psicologico, estetico, pratico, emozionale, simbolico nella vita dell’uomo.
Lo studio dell’immagine della città, – non come modello di dimensioni ridotte, ma come schematizzazione creata per un fine preciso, – rappresenta, secondo Lynch, da una parte uno strumento utile in sede di analisi, dall’altra la base di un piano per la progettazione della nuova forma visiva delle città.
Nell’esporre il suo metodo – che peraltro egli stesso non ritiene giunto ad un soddisfacente grado di definizione – Lynch si riferisce continuamente ad esempi concreti, cercando di evidenziare, potremmo dire, la fenomenologia del processo. Ed è proprio questa, a nostro giudizio, la parte più affascinante, più ricca di spunti, per chi affronta questa disciplina in sede teorica col fine preciso di verificare i risultati in sede operativa.
tratto dal numero 2