Le cose che contano

PIETRO NUNZIANTE
Già nelle prime pagine di Spazio, tempo ed architettura, Giedion riconosce che l’arredamento della vita quotidiana, gli oggetti senza rilievo che sono il risultato della produzione in serie – cucchiai, bottiglie, bicchieri, tutte le cose che guardiamo ora per ora senza vederle – sono diventate parte della nostra natura. Esse si sono intrecciate nelle nostre vite, senza che noi ce ne accorgessimo.

Giedion esprime il nucleo dell’indagine che lo porterà negli anni seguenti, durante il suo secondo soggiorno negli Stati Uniti, alla scrittura del più importante testo sulla storia ed evoluzione del progetto in epoca industriale.
Ci riferiamo qui a: Mechanization Takes Command: A Contribution to Anonymous History, pubblicato a New York nel 1948; testo che può essere considerato come fondativo per la storia del design, il cui titolo diventerà in italiano: L’era della meccanizzazione, traduzione che riteniamo impropria e parziale.
In primo luogo perché il testo di Giedion non si riferisce ad un periodo storico circoscritto, bensì ad un processo, quello dell’affermazione graduale dei principi che la meccanizzazione genera nell’organizzazione delle attività produttive e della vita quotidiana, così come nella trasformazione dei modi della creatività che attraversa diverse epoche.
Lo studio di Giedion prende in esame fatti avvenuti nell’arco di un millennio, fatti eterogenei, ma a cui applica una stessa attenzione, uno sguardo che giunge a configurare un’inedita fenomenologia della meccanizzazione. Sotto questa luce la costruzione dei motori e quella degli utensili, quella del mobilio come la configurazione dell’ambiente domestico appaiono frutto di un unico insieme di processi.
La traduzione del titolo in italiano omette l’approccio diacronico dell’analisi: l’autore svolge un percorso a partire da alcuni casi studio emblematici, disinteressandosi di fornire un quadro dello sviluppo complessivo del sistema industriale entro cui si colloca l’indagine storica.
In secondo luogo, nel titolo in italiano, è omesso del tutto il predicato, quello che sostanzia i principali interrogativi di Giedion: Takes Command vuol dire alla lettera:
prende il comando
. In discussione è dunque anche l’idea di controllo: per controllare la meccanizzazione è necessaria una conoscenza senza precedenti degli strumenti di produzione. In questo modo, il titolo del suo lavoro suggerisce il quesito: se sia la meccanizzazione a prendere il comando, o piuttosto l’essere umano a mantenere il controllo sulla macchina.
Giedion non è certamente il solo a dare voce a questa preoccupazione, che chiaramente risente della temperie culturale prodotta dalla seconda guerra mondiale, e della conseguente crisi del mito del progresso. Filosofi, come Ellul e Marcuse avrebbero discusso della tecnologia come qualcosa di autonomo, che non è più esclusivamente sotto il controllo umano. Lo sforzo principale di Giedion, pur senza mai esplicitarlo in modo definitivo, appare proprio quello di affrontare la meccanizzazione come problema da orientare eticamente.
La meccanizzazione è una fonte di energia come l’acqua, il fuoco e la luce. È una forza cieca, priva in se stessa di orientamento e senza segno positivo o negativo. Come per le forze della natura tutto dipende da come l’uomo la utilizza e da come se ne difende.
Che l’uomo abbia creato la meccanizzazione traendola dalla propria interiorità, ne aumenta la pericolosità perché essa agisce dall’intimo in modo più incontrollato che le forze della natura, agisce cioè sui sensi e sulla struttura spirituale del suo inventore.
Poiché la meccanizzazione agisce sempre in una forma ognora diversa su di noi, tutto si limitata questa domanda: in che modo possiamo inserirla nella nostra vita? Il principale quesito che ne scaturisce è: può la meccanizzazione prendere il comando della vita?
Mechanization Takes Command è un testo da cui apprendiamo che i problemi tecnici hanno soluzioni tecniche, ma che queste soluzioni possono generare nuovi e più grandi problemi.
La fortuna del saggio di Giedion deve fare i conti ancora oggi con ciò che Banham sostenne nel 1970 e che oggi quarant’anni dopo assume il carattere di vera e propria profezia: il vero difetto del libro sta però nel modo in cui è stato recepito. Tenuto in soggezione dall’immensa reputazione dell’autore, il mondo architettonico ha accolto Mechanization Takes Command come una relazione autorevole e conclusiva, e non come un inizio sperimentale in un settore di ricerca che offriva pressoché infiniti spunti per studi successivi.
Ad oltre venti anni dalla sua apparizione, esso non è stato né commentato, né approfondito, né demolito. “Giedion – si è detto una volta- ha lasciato poco da aggiungere”.
L’avvertenza dell’autore sopra riportata e il sottotitolo contributo ad una storia anonima aprono la tradizione moderna ad un nuovo piano d’indagine. Assumono importanza tutte quelle scoperte e invenzioni, che prive di un movimento intellettuale coeso di riferimento, hanno rivoluzionato la cultura materiale del produrre.
Aspetti ed esperienze, che erano state fino al documentato studio di Giedion viste come disgiunte, acquistano un nuovo spessore, grazie alla messa a fuoco dei loro rapporti di connessione. Nel loro complesso le cose modeste, di cui si parlerà, hanno sconvolto il nostro sistema di vita fin dalle fondamenta. Queste piccole cose quotidiane si accumulano sino a formare energie che afferrano tutti quanti si muovono nella cerchia della nostra civiltà.
Il formarsi delle condizioni di vita quotidiane è altrettanto importante delle esplosioni storiche, perché la loro sostanza infiammabile si è andata accumulando nella vita anonima.
Il punto di svolta storico, che è anche la chiave d’accesso alla linea principale della ricerca di Gideion, è collocato nella seconda metà dell’ottocento negli Stati Uniti: il periodo in cui in America le industrie complesse abbandonarono il lavoro a mano e si rivolsero alla produzione meccanica è unico, senza parallelo altrove nel mondo.
Qui gli ingegneri meccanici diventano i fautori di un’epocale innovazione, attraverso un’innumerevole quantità d’azioni operative stimolate dalle domande dell’industria in rapida trasformazione, l’industria che diveniva industria evoluta comincia ad essere organizzata scientificamente. Gli uffici dei brevetti forniscono a Giedion il materiale su cui lavorare, è qui che documenta in modo preciso il fenomeno della meccanizzazione, e il progressivo sviluppo della produzione industriale.
La manifestazione dei processi di meccanizzazione si sviluppa nell’agricoltura, nella macellazione, nella produzione del pane e dei biscotti, nell’invenzione di nuovi oggetti d’uso tecnico, e ancora nella fattura dei mobili e nella meccanizzazione specializzata delle unità funzionali della casa: la cucina e il bagno. Ed è ancora qui che vedono la luce i principali elettrodomestici, qui che si diffondono più rapidamente l’aspirapolvere, la lavastoviglie, la lavatrice.
Il mezzo principale per la piena meccanizzazione è il modello della linea di montaggio o assemblyline, nella quale un intero impianto è trasformato in un organismo sincronizzato. Dal suo primo apparire, nel diciottesimo secolo, alla successiva e decisiva elaborazione tra le due guerre mondiali, essa è un fenomeno americano.
Baudrillard nell’introdurre il suo saggio sul sistema degli oggetti, parte dalla distinzione tra motore antico e motore moderno, derivando queste categorie dalle definizioni fornite da Simondon sugli oggetti tecnici: egli assume il carattere astratto del motore antico, riferendosi a come ogni parte interviene in un dato momento nel ciclo di lavoro, rimanendo poi inattiva; e sottolinea invece il carattere concreto del motore moderno nel quale le parti svolgono la loro funzione in modo indivisibile e simultaneo.
Dunque il modello di un motore concreto moderno è qualcosa di molto prossimo all’idea di organismo, di organismo vivente, perché sono questi che ci forniscono un modello di movimento ininterrotto dove tutte le parti collaborano simultaneamente. Ed è appunto dal movimento e dalle sue rappresentazioni grafiche che Giedion parte per spiegare le premesse della meccanizzazione e di come questa sia in relazione con le concezioni razionali del pensiero.
La mano, con l’addestramento, può arrivare ad una certa prontezza automatica ma le rimane però preclusa l’attività ininterrotta. Essa deve sempre prendere, afferrare, tener fermo: ma non può compiere i suoi movimenti in rotazione continua.
Ed è questo appunto che realizza la meccanizzazione: la rotazione senza fine. Sulla differenza che esiste fra camminare e rotolare, fra ruota e gamba si basa appunto qualsiasi procedimento di meccanizzazione.
Sempre attento agli effetti della meccanizzazione sul mondo organico, sulla vita e sui corpi, la prospettiva critica di Giedion supera la mera documentazione storica, mettendo a nudo le radici di molte contraddizioni alla base della nostra attuale crisi globale, crisi della concezione della vita e dell’umanità rispetto ai meccanismi economici e al gusto dominante.
Ciò che preme maggiormente all’autore è riportare questo insieme di trasformazioni ad un’idea dello sviluppo che metta al centro l’uomo e i caratteri della civilizzazione. È proprio qui, che s’incontrano i ragionamenti e le intuizioni più avanzate; quelle che ancora oggi rappresentano interrogativi decisivi: ed è per questo che noi ci poniamo, fin da principio, questa domanda: che cosa accade quando la meccanizzazione si trova posta di fronte alla sostanza organica? E concludiamo con una indagine sull’atteggiamento della nostra civiltà verso il nostro organismo.
Giedion affronta i problemi della meccanizzazione della produzione del cibo con la consapevolezza di tendere verso un’epoca che abbandoni il punto di vista dell’intervento nella struttura di animali e piante, dell’intervento nella natura: l’uomo quale demiurgo.
Esiste una corrispondenza cronologica tra lo sviluppo di nuovi dipositivi tecnici e la necessità che impegna scienza e arte nella visualizzazione del funzionamento interno delle cose. Cominciamo col concetto di movimento che è alla base di tutta la meccanizzazione. Ad esso segue la mano e la necessità di sostituirla e la meccanizzazione quale fenomeno.
Giedion analizza il movimento a partire dalle visualizzazioni grafiche di Marey, il quale inventa sempre nuovi “appareils inscripteurs” che gli consentono di rappresentare il linguaggio dei fenomeni. Pochi anni ancora e si sarebbe servito della fotografia inventando la cronofotografia che anticiperà la nascita dell’invenzione del cinema. Giedion afferma che il movimento sottoscrive la maggior parte, se non tutte, le idee del pensiero scientifico moderno.
Il movimento, quest’elemento perpetuamente mutevole che non conosce interruzioni, risulta sempre più essere la chiave del nostro pensiero: esso sta alla base del concetto di funzione e delle variabili nella matematica superiore; e nella fisica, l’essenza del fenomeno viene sempre più riconosciuta nel processo del movimento: suono, luce, calore, idrodinamica, aerodinamica, fino a che, in questo secolo, anche la materia si dissolve nel movimento e i fisici debbono riconoscere che i loro atomi consistono di un nucleo attorno al quale gli elettroni roteano in orbite, con una velocità che supera perfino quella dei pianeti.
Questa posizione crea un legame profondo tra universi formali distinti, quello dello spazio e quello degli oggetti, quello della fotografia e quello della radiografia. La nascita della cinematografia sconvolge e determina la riformulazione dello statuto delle arti, l’inclusione del tempo, della fruizione e della funzione nel progetto diventa qualcosa di concreto e reale.
Grazie all’invenzione di nuovi apparati in grado di rappresentare il fenomeno del movimento ci siamo avvicinati alla comprensione più piena del funzionamento stesso del pensiero, la fotografia che noi credevamo dovuta ad una mera manipolazione meccanica è invece frutto del “trasferimento meccanico” di una nostra facoltà percettiva.
L’approccio alla storia anonima di Giedion eserciterà un’influenza decisa sulle concezioni di McLuhan, già dal 1943 vi è una documentata corrispondenza tra i due, i testi di Giedion saranno il motivo d’ispirazione principale per i seminari multi-disciplinari attorno ai quali si costituì la cosiddetta scuola di Toronto negli anni cinquanta, McLuhan estese il paradigma di Giedion della storia anonima dall’era meccanica a quella della galassia elettrica.
Il debito di McLuhan è anche metodologico, egli desume dalla fenomenologia di Giedion una serie di concetti che declinerà più tardi in funzione dell’analisi dei mass media. Ma Giedion mantenne un certo scetticismo nei confronti del concetto di comunicazione, ponendo sovente la domanda: comunicazione di che?
Implicitamente criticando l’idea che il medium possa essere il messaggio. Nello stesso tempo McLuhan cominciò a distaccarsi dall’approccio analitico di Giedion che dal suo punto di vista appariva troppo legato alla produzione visiva.
Ma l’importanza del contributo di Giedion risiede anche in aspetti di natura metodologica, di metodo storico-critico. In questo senso appare chiaro che siamo di fronte ad una storia che ha cambiato sensibilmente il proprio bagaglio di riferimento e si pone in modo attivo sulla linea dell’orizzonte dei saperi produttivi: decisive sono la visione complessiva e quella simultanea.
Tutto questo ci allontana, talvolta da una visione ininterrotta. Ma è soltanto con la visione sintetica di periodi diversi, e nello stesso periodo di diversi campi, che riusciamo a penetrare nello sviluppo intimo. Una libertà ulteriore deve essere conquistata dallo storico, se gli sta a cuore contemplare la storia sotto forme di costellazioni. Egli si riserva il diritto di studiare scrupolosamente aspetti singoli e concetti frammentari e di lasciarne altri inosservati.
Tra la tipologia e lo stile Gideion privilegia l’approccio analitico proprio della tipologia, e pur sostenendo l’estromissione della categoria dello stile dalla operatività moderna, ne riconosce implicitamente la necessità: La storia dello stile tratta un tema dividendolo in sezioni orizzontali mentre la tipologia lo divide in sezioni verticali. Ambedue sono necessarie per vedere le cose nello spazio storico.
A partire da queste considerazioni è necessario ripartire da le cose che contano nella storia dello sviluppo dei sistemi tecnici e degli esiti concreti di questi nel presente. Lo studio delle variazioni dei processi di meccanizzazione, e, aggiungiamo noi oggi, d’automazione e d’informatizzazione, è sicuramente uno dei compiti fondamentali che Giedion ha lasciato alla cultura architettonica. Siamo convinti che gli attuali tentativi di fare una storia del design a partire dalla sua costitutiva pluralità sono condivisibili solo parzialmente.
Per la storia del design sono nuovamente centrali, per metodo e per profondità, quegli studi che affrontano da vicino la storia dell’industria e il contributo creativo e intellettuale che progettisti, inventori e sperimentatori le hanno fornito.
In questo quadro ci sembra che l’unità della storia progettuale contemporanea vada ricostruita, e che non è possibile sostenere una storia basata su narrazioni specializzate, su una sommatoria di storie parziali.
Il rapporto tra corpo e sistemi tecnici, o per dire meglio tecnicizzazione dei sistemi sociali, nutre il dibattito teorico e filosofico contemporaneo; il paradigma biopolitico declinato dai pensatori radicali trova un terreno concreto nell’analisi dell’affermarsi del modello informatico come modello comunicativo e produttivo planetario.
La definizione del concetto di macchina e simultaneamente quello d’organismo hanno rappresentato i due cardini. Pietre angolari attorno cui si è svolta tutta la riflessione della teoria progettuale moderna, i limiti entro cui è racchiuso, a nostro parere, l’orizzonte decisivo anche per il futuro dell’uomo.
La nascita di una nuova concezione della cultura materiale contemporanea implica l’abbandono di un’idea di storia basata esclusivamente sulla soggettività progettuale e di mercato. Ci sembra necessario soffermarsi nuovamente sull’orizzonte ampio dell’evoluzione delle forme tecniche.
La storia è un insieme multiforme e disomogeneo di fatti, di cose ordinabili secondo ragioni e principi alternativi, talvolta divergenti, ma essa svolge una funzione che non può essere ridotta ad uso degli storici. Piuttosto che la storia per gli storici c’interessa guardare a quella utile al progetto futuro.
Contemporaneamente la storia diventa utile al progetto di futuro solo quando si trasforma in teoria, una storia sbilanciata esclusivamente sulle pratiche rischia di diventare come l’albero di fico di cui parla Alberti: paradossalmente inglobata (dallo stesso Giedion) nelle mura del discorso modernista per accrescerne la compattezza, finisce per sgretolare l’edificio.
Filosofi, sociologi e storici della tecnologia hanno a lungo riflettuto sui diversi modi in cui la tecnologia ha modificato la vita quotidiana, sul piano della vita sociale, e simultaneamente su quella individuale. Oggigiorno non vi è riflessione filosofica o politica che possa prescindere dall’analisi dell’impatto delle tecnologie sui sistemi sociali; le tecniche che erano meccaniche prima, automatiche poi, informatiche e digitali oggigiorno, hanno di continuo un riverbero sulla cultura e sulla vita sociale.
Il terreno proprio in cui le tecniche si trasformano in fatti è il luogo precipuo del progetto, sia esso quello dello spazio costruito, come pure quello degli oggetti, degli artefatti che lo riempiono e ne condizionano il funzionamento trasformando il comportamento di utenti e destinatari.
Solo attraverso un’analisi di questi impatti possiamo cercare di comprendere in che misura disporci verso nuove rivoluzioni, e quanto queste potranno esssere condotte a scopi progressivi condivisi.
tratto dal numero 142