Design: scenari morfologici della contemporaneità

CARLO MARTINO
Spesso chi fa ricerca o elabora teorie sul design dimentica cosa questa disciplina sia stata chiamata originariamentea fare e quanto la società si aspetti da essa. In un contesto scientifico che si muove tra le innovazioni tecnologiche informatiche (dall’Interaction Design all’Internet of Things), la sostenibilità ambientale e la ricerca di Nuovi Modelli Sociali d’Innovazione2, ci si dimentica che il designer è sempre percepito (concepito) come un operatore estetico cui ancora oggi, come ricorda Roberto Verganti, i manager imprenditoriali chiedono (…) di rendere i prodotti belli3.

Una mission del design che Francesco Trabucco, nelle sue recenti riflessioni, conferma: (…) Il mandato del design è far si che, di fronte alle cose che progetta, le persone dicano: “che bello!”4. Resta il fatto che, oggi, si avverte una certa reticenza a usare questo termine; si preferisce dire che un oggetto di design è funzionale, ingegnoso, interessante, rispondente ad uno status symbol, e cose simili; attributi certo necessari ma non sufficienti a specificare la principale valenza che è appunto quella estetica5.
Nell’ambito di un design che muove dall’innovazione tecnologica, dall’uso di nuovi materiali o dalla risposta a nuove domande prestazionali, o ancora dalla risposta all’innovazione socio-economica che associa spesso il progetto alla strategia, il progettista, pur perseguendo un approccio etico, è, infatti, ancora chiamato a definirne gli esiti estetici. Per cui sembrerebbe quanto mai sensata di l’affermazione di Vanni Pasca secondo cui il nucleo fondativo del design è costituito dal rapporto tra etica ed estetica6.
Il designer, infatti, deve essere in grado di compiere delle sintesi progettuali che si distinguono da ciò che design non è, che si differenziano per contenuti (sociali, ambientali e tecnologici) principalmente attraverso soluzioni morfologiche, colore, manipolazione dimensionale e per molti altri aspetti, da artefatti nati in contesti in cui la cultura del progetto è assente.
È vero che, a partire dalla seconda metà del ’900, si assiste a una pluralità di approcci che documenta sia la complessità raggiunta dall’estetica del design sia la sua pervasiva diffusione7 e che, come sostiene Dario Russo, dagli anni Novanta in poi, tale complessità, ha portato alla convivenza di diverse espressioni con esiti morfologici anche molto distanti tra loro8, ma tale complessità non esime i progettisti dall’affrontare il loro compito principale.
L’esteticità è (…) conditio sine qua non del design9 per cui diventa indispensabile per i progettisti – soprattutto
in questa fase di crisi economico/culturale – non cedere a tutte le aberrazioni disciplinari che, in nome della trasversalità, aprono il design alle pratiche e ai metodi delle scienze sociali ed economiche, distogliendolo dal suo scopo originario.
Grandi interessi economici e importanti prospettive di profitto, ma soprattutto straordinari contenuti culturali, passano ancora oggi, con forza, attraverso la buona qualità estetica e la soluzione morfologica degli artefatti. L’estetica del design, seppur complessa, è ancora lo specchio dello stato sociale, economico e culturale del nostro tempo. Analizzando i prodotti e le immagini elaborate negli ultimi anni, è possibile affermare che in questo senso il design contemporaneo è ancora vivo, e che le soluzioni estetiche adottate, prescindendo dalla coerenza dei segni e dalla conoscenza della loro origine (spesso assente tra i giovani designer globalizzati), sovvertono con forza le leggi consolidate della tradizione del design, innovando linguaggi e forme.
Il design dei primi quindici anni del nuovo secolo, infatti, ha teso a sottolineare più le relazione tra segni che i segni stessi, a lavorare più sulla sintassi che sulle parole, operando contaminazioni culturali e sovversioni di regole codificate nel secolo precedente. Se il Novecento era riuscito, attraverso i grandi movimenti di avanguardia, a organizzare in semplici apparati segnici i filoni dell’astrattismo e dell’espressionismo, configurando dei veri e propri codici che hanno poi generato linguaggi e neo linguaggi, l’inizio del nuovo secolo sembra aver assunto un atteggiamento irriverente che ha rimesso in discussione tali logiche compositive e che può essere riassunto in alcuni filoni estetici.
La casualità o il difetto, per esempio, rappresentano oggi un valore aggiunto nella concezione dell’oggetto, e non sono più un arbitrio progettuale o una causa di esclusione, come accadeva nel secolo scorso. Così come avviene nei rapporti tra l’unità (dell’oggetto) e le sue parti, tra l’intero e i suoi dettagli, che storicamente si configuravano come rapporti gerarchici in cui il dettaglio era sempre subordinato alle logiche estetiche dell’insieme.
La sovversione delle gerarchie è più che mai evidente oggi in tutti quei processi di revisione scalare che stanno investendo gli artefatti (materiali ed immateriali) o i loro dettagli. Processi motivati da nuove esigenze simboliche, funzionali ed esperienziali e soprattutto da una forte domanda di comfort. Ed ancora la sovversione delle regole della tradizione è rintracciabile nel
nuovo fenomeno dell’estetica della numerosità10, in cui l’iterazione dell’oggetto, la sua presenza o la sua immagine replicata all’infinito, è certamente influenzata dalle logiche ripetitive intrinseche all’informatica e al mondo digitale, oggi alla base dell’immaginario collettivo contemporaneo.
Al contempo però è figlia di una nuova estetica artistica delle culture emergenti dell’estremo oriente, in cui la massa, il molteplice è tema esistenziale. A ciò si aggiunge il fatto che l’estetica della numerosità si presta anche ad evocare una serialità ormai perduta, quella della produzione della grande industria otto-novecentesca. Nel design di prodotto come in quello della comunicazione visiva, infine, negli ultimi anni è stato completamente rivisto in questi anni anche il ruolo del colore.
Quest’ultimo, grazie all’innovazione tecnologica e alla sua forza espressiva in alcuni progetti della contemporaneità, si è imposto come fulcro da cui far muovere l’intera concezione dell’oggetto, abbandonando il ruolo di variante ausiliaria del progetto stesso.
– La poetica11 del difetto12. La cultura industriale ha sempre teso a riprodurre e a replicare il modello dell’oggetto progettato perseguendo un ideale di perfezione. Ogni elemento che si discostava dalla conformità al modello veniva interpretato come “difetto” e si trasformava quindi in motivo di scarto della replica stessa. Alla fine degli anni Sessanta però, in pieno movimento radicale, Gaetano Pesce dichiara che proprio nel difetto si concentra un grande potenziale di distinzione, di unicità, unica vera risposta alla nostra individualità: (…) ritengo che è la morte a renderci uguali, e che essere vivi significa essere differenti e, come ognuno di noi ha questo diritto, ritengo che gli oggetti stessi che ci circondano nel piccolo arco della nostra vita devono poter godere di tale prerogativa13.
Da tale assunto muove la teoria della Serie Diversificata, secondo cui è possibile produrre in serie la differenza, e che lo stesso Pesce ha pienamente dimostrato attraverso tutta la sua opera, giungendo a definirne delle categorie: per manipolazione esterna, per casualità e per sistemicità combinatoria14.
A distanza di più di quarant’anni, non solo il mondo dell’economia ha compreso il portato rivoluzionario della produzione in serie differenziata, arrivando a definirla come Mass Customization15– personalizzazione di massa – ma gran parte dei progetti di questo inizio secolo prendono palesemente le mosse da processi costruttivi/produttivi che accolgono la casualità come elemento distintivo ed esistenziale.
Un’oscillazione del gusto che, come direbbe Baricco parafrasando Focillon16, avvicina il design al vero17, cercando di rappresentare la realtà imperfetta della vita e delle attività umane.
Tale fenomeno si combina con la grande flessibilità offerta oggi dai processi produttivi, dalla disponibilità di materiali plasmabili anche in una logica di autoproduzione, e infine dalle suggestioni derivanti dall’ambito della Design Art, in cui il design sembra affrancarsi dalla serialità a favore della serie limitata o dell’unicità. E sembra non avere confini geografici e temporali poiché si ritrova nelle opere di designer olandesi, quali per esempio M. Baas (emblematico il progetto Clay) o nipponici, come T. Yoshioka, con i suoi esperimenti sul deposito di cristalli per la realizzazione di mobili, o ancora in Sudamerica con le opere dei fratelli Campana, tra cui le famose sedute Favelas.
Il riferimento,più che mai condiviso, è la natura in tutte le sue espressioni, comprese quelle dei fenomeni fisici e atmosferici, ma anche “l’infanzia felice”, con le licenze alle regole che essa comporta. La già citata serie Clay di Baas è nei fatti una trasposizione di un’estetica della plastilina da noi tutti conosciuta da bambini. L’oggetto/immagine, che contempla la casualità, respinge le geometrie rigide e regolari ma è spesso espressione di sofisticati processi tecnologici, in cui le tecnologie digitali vengono messe a servizio della gestualità.
Esemplificativo è il progetto Sketch del collettivo femminile svedese Front, in cui lampade sedie e tavoli sono generati da gesti eterei continui, letti da un sistema di motion capture, e tradotti in volumi, per essere infine stampati nella loro consistenza solida e tangibile in stereolitografia.
Multiculturalismo. In risposta alla globalizzazione e alla relativa omologazione, l’esasperata ricerca della differenza è divenuta un imperativo per il design contemporaneo: (…) il nucleo del successo nel business è la capacità di competere; la capacità di competere a sua volta, dipende da quella di differenziarsi dai concorrenti. O ti differenzi o muori18. Differenza nei costi, nel valore, nel posizionamento, ma anche differenza nell’aspetto e nella forma.
Il rischio della ricerca esasperata della differenza però, è quello di incorrere in una omologazione, o di rendere poco percepibile la differenza stessa, la vera differenziazione competitiva è diventata una rarità19. Da qui, in coerenza con quel multiculturalismo esito di una rinnovata alterità,l’interesse del design contemporaneo per ciò che le culture altre, lontane dall’occidente e oggi emerse anche a livello economico, possono offrire in termini di patrimoni morfologici e decorativi da saccheggiare e da rielaborare.
La contaminazione della cultura occidentale con altre tradizioni artistiche e con saperi diversi non è cosa nuova, ma è certamente nuova la modalità con cui oggi questa si sta attuando. Una modalità che non ammette più una supremazia dell’occidente ma si fonda su un “reciproco riconoscimento” e con un conseguente “sostegno dell’alterità”20.
Ne è testimonianza il grande successo di prodotti a firma di designer in grado di rielaborare i suddetti patrimoni estetici e di portarli nel mondo. Com’è ben visibile nel caso dei progetti dello studio anglo indiano N. Doshi e J. Levien, o dell’indiano S. Pakhale, del gruppo turco Maybe o ancora del rinnovato design nipponico che ha ritrovato nel rapporto con la natura, da sempre alla base della sua cultura, suggestioni apparentemente orientate al neo-minimalismo, come nei progetti dello studio Nendo, di N. Fukasawa, o ancora del più giovane T. Yoshioka. Un “trasferimento morfologico- culturale” che non è riducibile ai soli apparati decorativi, ma investe approcci differenti alle proporzioni, alle volumetrie e alle gerarchie tra l’intero ed il dettaglio, ma che è costantemente alla ricerca di archetipi morfologici originali e riconoscibili.
Senza andare troppo lontano, un’importante lezione sulla valorizzazione e sulla citazione del patrimonio segnico della tradizione, sulla scia di un multiculturalismo europeo, è venuta negli ultimi 15 anni dal design olandese, come è palesemente visibile nell’opera di M. Wanders. Abile manipolatore sia delle tradizioni manifatturiere dei Paesi Bassi, sia della cultura visiva fiamminga, Wanders, utilizzando anche l’Off-Scale e il colore – due filoni estetici del design contemporaneo di cui trattiamo – è stato in grado di riproporre nei suoi prodotti e nei progetti di interior design, stucchi, merletti e broccati da noi conosciuti attraverso i dipinti di Memling o van Eyck. Lui mischia metafore vecchie e nuove, rinnovando lo spirito di oggetti molto amati e prolungando la vita delle buone idee21.
Una connessione con la tradizione così forte e potente che, lo stesso Wanders, l’ha voluta sottolineare attraverso progetti di comunicazione originali, elaborati con il fotografo Erwin Olaf. Immagini pubblicitarie che citano esplicitamente le nature morte fiamminghe, con l’unica differenza che tra il vasellame vintage e le cibarie di vario genere, sono proposti prodotti contemporanei del catalogo Moooi. Una lezione importante quella di Wanders o in generale del multiculturalismo che il
design italiano dovrebbe emulare, ben conscio che non si tratti di un design postmoderno, né di un approccio vernacolare o nostalgico, quanto piuttosto di guardare indietro alla nostra storia senza subirne il peso, alla ricerca di un nuovo e fertile dialogo.
Design e Molteplicità. Numerosità Ordinata o Casuale. Sempre legato al mondo del digitale e dei bit è il fenomeno estetico che negli ultimi anni ha lavorato sul concetto d’iterazione del prodotto/soggetto e dell’immagine, o anche sulla composizione dell’unità/prodotto attraverso la sommatoria di parti o di frammenti. In un’epoca in cui la produzione in grande serie può dirsi conclusa a favore della valorizzazione dell’unicità dell’individuo attraverso la produzione di oggetti speciali22le immagini da essa derivanti – catene di montaggio, depositi o magazzini – continuano a suggestionare l’immaginario dei designer, insieme a quanto il mondo del digitale offre ormai da anni in termini visuali, con le sue logiche intrinseche di ripetizione, replica e moltiplicazione.
Il fenomeno dell’estetica della numerosità23 è fortemente influenzato anche dai canoni estetici di culture visive lontane
dall’occidente, come per esempio quelle proposte attraverso l’arte contemporanea orientale e in particolar modo cinese, in cui il tema della molteplicità, della “massa”, è quanto mai evidente: la serialità e la moltiplicazione di un soggetto è, infatti, tratto ricorrente nell’arte cinese24.
Una ripetizione che ha fatto comprendere quanto si sia persa una delle caratteristiche fondanti dell’oggetto, “l’individualità” 25 che voleva l’oggetto stesso unico attore della scena/ immagine, come Maldonado denunciava già nel 1992; e che sembra motivata da una potente strategia comunicativa, un repetita juvant secondo cui, visto l’inquinamento semiotico e l’eccesso di messaggi visivi che ci circondano, solo la ripetizione dell’immagine dell’oggetto o la sua presenza iterata (una tecnica espositiva molto diffusa) possa giovare alla sua riconoscibilità, cogliendo l’attenzione del suo distratto destinatario.
Al filone dell’estetica della numerosità possono essere ricondotte tutte quelle sperimentazioni che organizzano l’interazione dell’oggetto o delle sue componenti in modo “ordinato”, come nel caso di prodotti modulari, ma anche quelle immagini o quegli artefatti che all’opposto compongono in modo libero e casuale l’iterazione, portando ad un’estetica della “numerosità casuale”. La prima trova una derivazione diretta dalla Minimal Art americana, con opere per esempio di Donald Judd – artista emblematico del movimento con importanti incursioni nel design – in cui soggetti identici vengono esibiti in regolari teorie ben intervallate26 e che, passando per il design minimalista degli anni Novanta del Novecento, giungono a suggestionare prodotti e progetti espositivi, nonché immagini pubblicitarie dei nostri giorni.
Emblematici in questo ambito i progetti espositivi di M. Ferreri, i prodotti recenti di P. Lissoni, ma anche le immagini pubblicitarie: da quelle della Apple, in cui per esempio l’Ipod era indossato da una moltitudine di silhouette umane nere su fondo colorato, all’esplicita citazione di Judd nell’advertising dell’azienda spagnola Gandia Blasco. La seconda categoria, quella della “numerosità casuale”, muove da suggestioni più vicine alla natura e alle sue manifestazioni tangibili o intangibili, che contengono la molteplicità. Dalla natura cattiva, quella della giungla, che suggestiona le opere dei fratelli Campana in Brasile, alle nuvole che influenzano l’immaginario dei fratelli Bouroullec in Francia, fino a nebbie e cristalli rintracciabili nelle opere del giapponese Yoshioka. In entrambe le categorie la numerosità o la molteplicità, che ne è sinonimo, – ordinata o casuale – tende a rappresentare una complessità tipica della nostra condizione culturale, sociale ed economica contemporanea, ma a questa aggiunge un portato innovativo per il design, e cioè l’integrazione della dimensione spaziale nella concezione dell’oggetto. La numerosità (…) trova proprio nella relazione con lo spazio il suo senso più profondo, trasformando l’oggetto iterato in oggetto “ambientale”, che usa il vuoto per esistere e per integrare una dimensione prima inusitata27.
Off-Scale. Uno dei più potenti espedienti di progettazione che il design contemporaneo ha largamente utilizzato in questi ultimi anni è quello della manipolazione scalare dei prodotti (e delle immagini) nella loro interezza o dei loro dettagli. Una manipolazione che, nonostante vada dall’infinitamente piccolo (nanotecnologie, ecc.) al molto grande (gigantismo, fuori scala, ecc.), acquista senso per il design solo nel secondo caso, nella scala del visibile. Diverse le concause. Se, infatti, il fenomeno inteso come atavica propensione all’immensità28 è legato alla natura umana e alla sua storia, negli ultimi anni l’Off-Scale, pur conservando le tradizionali motivazioni simboliche e ludiche, ha trovato una rinnovata spinta nella maggiore domanda di comfort – già avvertita come idea moderna29 da Maldonado nel 1987 – e nella scoperta di una più ampia esperienza sensoriale
associabile alla grande dimensione.
Tutta la storia dell’uomo può essere vista, infatti, come la costante ricerca di un riscatto dalla fatica fisica, perpetuata attraverso l’invenzione di artefatti e di strategie in grado di apportare maggiore comfort e neutralizzare l’ostile natura biologica: la comodità, come la conosciamo oggi, è il prodotto della sottomissione pervasiva, complessiva ed efficace della natura mediante artifici tecnologici sempre più sofisticati30.
Per cui, in una cultura produttiva matura, l’evoluzione del comfort si associa alla maggiore comodità derivante dalle dimensioni più generose degli artefatti. In questo senso, negli ultimi anni si è assistito a una vera e propria rivoluzione dimensionale che ha fissato nuovi standard, facendo drasticamente invecchiare quanto non investito dal fenomeno, portando a sostenere che l’Off-Scale è la nuova condizione dimensionale “dell’arte-fare”, trasformandosi in norma, nell’In-Scale della contemporaneità31.
Oggetti più grandi abitano, infatti, la nostra quotidianità,e la differenza è evidente quando pensiamo a quei prodotti della contemporaneità che citano pienamente modellidel passato (vedi i restyling automobilistici della New Beetle, Mini e Nuova 500), in cui la differenza più sensibile sta proprio nella variazione dimensionale, verso il grande, rispetto all’archetipo di riferimento. Accanto all’automotive che, in linea con l’Off-scale, ha generato anche nuove tipologie di automobile come per esempio i SUV, l’enfatizzazione scalare ha investito in modo sensibile il mondo dell’exhibit design, per cui accade spesso che l’oggetto ingigantito sia interpretato come un segnale di richiamo, una nota più alta, o ancora nei complementi d’arredo e nei casalinghi, dove per esempio anche i piatti da portata, in linea con un food design sempre più scenografico, sono oggi sensibilmente più grandi rispetto al passato.
Lì dove l’indossabilità limita invece l’ingigantimento dell’intero prodotto, per ovvi vincoli dettati dalla “misura” del corpo umano, sono i dettagli a confermare l’allineamento al fenomeno. Molti sono stati negli ultimi anni i prodotti del fashion che hanno rivisto le dimensioni di alcuni particolari divenuti punti focali del progetto: dai cappelli alle fibbie esagerate, dai tacchi impossibili agli enormi orologi da polso, ecc. Ma il bisogno di comfort cui l’Off-Scale sembra rispondere in modo rinnovato, si palesa in tutti quei prodotti dalla funzionalità incrementata, grazie appunto alle generose dimensioni dell’insieme o delle sue parti: maniglie più grandi e facilmente impugnabili, interruttori più comodi e visibili, oblò di lavatrici più ampi e accessibili, ecc. che allo stesso tempo sembrano rispondere anche ai dettami del Design for All.
L’oggetto ingrandito figlio dell’Off- Scale, rispetto al quale, come in passato, il fruitore può stare al di fuori (pensato quindi per una fruizione prevalentemente visiva), nella sua dimensione ingrandita si offre oggi anche ad un utilizzo dall’interno, tale da aprire nuove esperienze sensoriali oltre la vista (tatto, olfatto e udito).
Dal mono al policromatismo. Innovazione tecnologica (l’ampia offerta dell’industria chimica delle vernici) e suggestioni dal mondo estetico del digitale sono alla base di un altro dei fenomeni che hanno distinto il design di questi anni, il rinnovato ruolo del colore. Tranne in alcuni casi (De Stijl, Radical Design, Memphis, ecc.), il design nel Novecento ha posto l’accento sul colore in maniera discontinua, soprattutto nel product design, in cui tale componente veniva in molti casi lasciata come opzione finale del progetto.
La novità di questi ultimi quindici anni sta nel fatto che il colore possa essere sentito, al contrario, come un punto di partenza per lo sviluppo di un’idea di prodotto: lo hanno abilmente dimostrato designer autorevoli attraverso originali sperimentazioni (cfr. Barber & Osgerby con i tavoli Iris o H. Jongerius con i Colored Vases, ecc.). La rinnovata attenzione verso il colore è strumentale a diverse esigenze del design contemporaneo, come quella di trovare una risposta a tutti quei nuovi materiali che non hanno una propria storia cromatica, un colore originario.
Materiali ibridi che non hanno colori predefiniti e che spingono verso soluzioni di forzata artificializzazione e che hanno quindi portato alla realizzazione di tanti prodotti connotati da un unico colore. Un total color in grado di azzerare le differenze materiche e di far percepire il prodotto come un unicum. Una (…) monocromia pervasiva, estesa cioè a tutte le componenti tecnologiche del prodotto, come soluzione all’ibridazione dei materiali contemporanei32, abilmente utilizzata sulle più disparate tipologie da molti designer tra i quali per esempio M. Sadler o C. Grcic.
Viceversa si è delineata, sempre in questo scorcio di se colo, una tendenza cromatica tesa a rappresentare la ricchezza del mondo dei colori, una sorta di celebrazione della gamma33, un policromatismo, reso disponibile dal mondo del digitale e dall’industria chimica. La postmodernità si caratterizza anche per la grande espansione delle possibilità espressive cromatiche, questo sia grazie alla chimica dei pigmenti, sia per le possibilità elettroniche del digitale che permettono il pronto impiego di milioni e milioni di differenti colori34.
Oltre ai già citati progetti nell’ambito della Design Art, rientrano in questo fenomeno tutti quei prodotti o quelle immagini di grafica che hanno fatto ricorso al tema del “gradiente cromatico” e cioè a graduali passaggi da un colore a un altro.
Il policromatismo sembra anche suggerire delle soluzioni morfologiche privilegiate come afferma Plotemy Mann, curatrice della mostra “Significant Colour” (Londra 2009): a chi lavora con il colore piace utilizzare cerchi o griglie (scacchiere)35.
L’associazione tra policromatismo e forme è, infatti, al centro di progetti emblematici sviluppati per esempio dal duo inglese Barber & Osgerby, come la serie di tavoli Iris, commissionati dalla galleria Established & Son nel 2008, una serie di tavoli in alluminio, in cui ad ogni range cromatico corrisponde una forma differente. Ma la questione più interessante è che la volontà di rappresentare l’ampia gamma delle sfumature di un colore costituisca il punto di partenza del progetto Iris, come affermano gli stessi autori: pensiamo che dovrebbe essere interessante invertire il processo (progettuale) dalla testa ed iniziare dalla composizione dei colori36.
Infine sono altrettanto interessanti, in questo filone di una rinnovata centralità del colore nel progetto contemporaneo, tutti quegli esperimenti che, in linea con quanto affermato a proposito della poetica del difetto, sia che tendano a valorizzare la casualità, sia dei fenomeni fisici di ossidazione di alcuni materiali (si veda il grande successo dei metalli ossidati, dall’acciaio corten al rame, ecc.), sia che coinvolgano organismi o microrganismi nei processi di colorazione degli artefatti, come nel caso delle sperimentazioni sui tessuti di Natsai Kieza in cui una particolare specie di batteri genera spontaneamente delle texture.
Conclusioni. Cosa accomuna i filoni estetici del design contemporaneo sopra descritti? Sicuramente la trasversalità tipologica e merceologica. Sono temi che si ritrovano nelle più disparate tipologie di artefatti, così come nella grafica o nei linguaggi dei prodotti multimediali. Anzi sono proprio la massima espressione di un campo di applicazione del design che non ha più confini, per cui accade che l’Off-Scale è rintracciabile nell’automotive ma anche nel furniture o nel fashion design, così come nella pubblicità e nell’exhibit design.
L’imperfezione e la casualità sono più che mai visibili nei prodotti ad alto contenuto “decorativo” ma anche negli oggetti figli delle stampanti 3d o in seriose texture per abiti e rivestimenti ecc. Una trasversalità che, come visto, non ha nemmeno confini geografici e che nei diversi filoni, trova riscontro in Giappone, così come in Europa o in Sudamerica. Sono fenomeni che certamente rispecchiano una realtà complessa in cui si è persa la visione monotona e monologica, a favore della pluralità e della compresenza di verità multiple, di cui l’alterità e il multiculturalismo sono espressioni emblematiche.
Tutti i cinque filoni individuati sono l’esito di una ricerca della differenza che è alla base della competizione ma anche terreno fertile di contaminazione e di scambio. Sebbene rappresentino le punte più avanzate dell’innovazione,non sono l’esito di momenti di forte discontinuità con il passato, di strappi37, come li definirebbe Baricco, ma il risultato di un graduale processo evolutivo del gusto collettivo e dell’estetica contemporanea.
Di fronte al dinamismo che tale scenario progettuale presenta, la ricerca scientifica, distratta dall’emulazione delle scienze esatte, deve quindi riappropriarsi dello studio della forma degli artefatti. Se da un lato viviamo un potente fenomeno di estetizzazione del design38, come affermano molti studiosi, proprio la ricerca scientifica dal versante del design (e non quello delle scienze della comunicazione e dei media o della sociologia), sembra ignorarlo.
Non è poi così vero che le nuove generazioni di designer, soprattutto quelle italiane, non siano interessate agli esiti estetici dei loro progetti e che la questione dello stile è diventata inesistente39. Non è difficile senza nemmeno troppe forzature, far rientrare per esempio il lavoro di M. Adami o quello di P. Ulian nel filone della “poetica del difetto” così come quello di altri talenti italiani nel filone dell’Off-Scale (P. Urquiola e Joe Velluto).
Numerosi sono invece i designer che in tutto il mondo sentono fortemente la responsabilità che deriva dalla manipolazione dei segni e delle forme, responsabilità verso i committenti e responsabilità sociale, verso i consumatori.
Concludendo, le caratteristiche dei filoni estetico-morfologici sopradescritti non esauriscono lo scenario del design contemporaneo, che indubbiamente per complessità, dimensione e dinamicità, non si presta a letture riduttive, ma fanno comprendere come, nonostante le derive rappresentate oggi dalle eccessive aperture della disciplina verso ambiti non proprio di pertinenza del design, e nonostante l’apparente perdita di fisicità del mondo artificiale, il design continui a guadagnarsi un ruolo di primo piano nella storia delle espressioni culturali dell’umanità attraverso la forma.


1. Il saggio riprende nei temi trattati e in alcune parti, il testo della voce “Design” della IX Appendice della Enciclopedia Italiana, del 2015 a cura dell’autore.
2. V. Margolin, S. Margolin, A “Social Model” of Design: Issue
of Practice and Research
, in «Design Issuses»: Volume 18, n. 4, 2002, Massachusetts Institute of Technology.
3.R. Verganti, Design-Driven Innovation, Cambiare le regole della competizione innovando radicalmente il significato dei prodotti e dei servizi, Etas Editore, Milano 2009, p. XII.
4. F. Trabucco, Design, Edizioni Bollati Boringhieri, Torino
2015, p. 21.
5.R. De Fusco, Parodie del design. Scritti critici e polemici, Umberto
Allemandi & C editore, Torino 2008, p. 16.
6.V. Pasca, Il design nel futuro, XXI sec._ Istituto italiano dell’Enciclopedia fondata da Giovanni Treccani
7.A. Mecacci, Estetica e design, Società Editrice il Mulino, Bologna
2012, pp. 7-8.
8.8 D. Russo, Il design dei nostri tempi. Dal postmoderno alla molteplicità
dei linguaggi.
Ed. Lupetti – Editori di Comunicazione, Milano.
9.Ivi, p. 184.
10.C. Martino, L’Estetica della Numerosità, in Lezioni di Design,a cura di Federica Dal Falco, Rdesignpress, Roma 2013, p. 324.
11. “Poetica significa intenzione di poesia ovvero programma e manifesto di un movimento artistico collettivo o personale”; R. De Fusco, in Il Design che prima non c’era, Franco Angeli Editore, Milano 2008, p. 19.
12. Titolo dell’articolo comparso sul n. 57 della rivista Arte e Critica,
a cura dell’autore, dicembre 2008 – febbraio 2009.
13.G. Pesce, in Un’industria per il Design, AA.VV, Lybra, Milano
1999, p. 324.
14. C. Martino, Gaetano Pesce Materia e Differenza, Testo e Immagine
editore, Torino 2003, Marsilio Editore, Venezia, 2007.
15.15 J. Pine, Mass Customization: dal prodotto di massa all’industriale
su misura
, Franco Angeli, Milano 1997.
16.H. Focillon, Hokusai, edizioni Abscondita, Milano 2003, p. 38.
17. A. Baricco, Kate Moss, Palladium Lectures, 2013, Guarda il video.
18. Y. Moon, Differente. Il conformismo regna ma l’eccezione domina,
Etas RCS libri, Milano 2010, p. 8.
19.Ivi, p.11.
20.C. Martino, Orienti Mitici, in MIXDESIGN, web magazine –www.mixdesign.it, aprile 2010, www.mixdesign.it/Orienti-mitici_think_x_4186.html.
21.S. Moreno, Once Upon a Time, in Marcel Wanders Behind the Celing, Gestalten, Berlin 2009, p. 13.
22.C. Martino, Design e Molteplicità. L’esuberanza numerica nel design contemporaneo, in Lectures 1, cit., p. 51.
23.Ibidem.
24.F. Salviati, D. Jones, a cura di, Arte Contemporanea Cinese, Mondadori Electa, Milano 2006, p. 15.
25.“Il fisico Alfred Kastler ha rilevato che, alla scala dei nostri sensi, siamo abituati a riconoscere in ciò che chiamiamo oggetti due proprietà fondamentali: la permanenza e l’individualità, proprietà che sono state caratteristiche nella meccanica classica e che oggi vengono a mancare nella microfisica”, In T. Maldonado, Reale e Virtiale, Feltrinelli Editore, Milano 1992, p. 11.
26.C. Martino, op. cit., p. 51.
27.C. Martino, op. cit., p. 56.
28.G. Bachelard, La poetica dello spazio, Edizioni Dedalo, Bari
1975.
29. T. Maldonado, Il futuro della modernità, Giangiacomo Feltrinelli
Editore, Milano 1987, p. 96.
30.S. Boni, Homo comfort. Il superamento tecnologico della fatica e le sue conseguenze, Elèuthera Editrice, Milano 2014, p. 17.
31.C. Martino, Da Off-Scale a In_Scale, in DIID _ Disegno Industriale Industrial Design n. 31, Rdesignpress Editore, Roma, 2008, p. 12.
32.C. Martino, Dal Mono al Pluri, in DIID _ Disegno Industriale Industrial Design n. 53, Rdesignpress Editore, Roma, 2012, p. 32.
33. Ivi, p. 33.
34. P. P. Brunelli, Il messaggio cromatico. Semiotica e psicologia
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, Ikon Editrice, Milano 2010, p. 34.
35.J. Szita, Crhoma Chaeleons, in«Frame 70», settembre-ottobre
2009.
36.Barber & Osgerby in J. SZITA, Rainbow gathering, in «Frame70», settembre-ottobre 2009.
37. A. Baricco, op. cit.
38. Tra gli altri, Pasca, Russo, Carmagnola.
39.A. Branzi, Sette gradi di separazione, Electa Mondadori, Milano
2007.