Le «Nuove Iconi» e la «civiltà del consumo»

GILLO DORFLES
Si parla – e si è parlato sin troppo negli ultimi anni – d’una «civiltà del consumo»; e, anche, d’una «civiltà delle immagini» perché, come spesso accade, non si sia finito per eccedere nel voler far rientrare tutti i più svariati aspetti della nostra cultura e della nostra società sotto una di queste allettanti etichette.

Certo: il fenomeno del consumo è evidente e patente a chiunque: basta alzare lo sguardo ai palazzi appena terminati di costruire e scorgere, accanto ad essi, altri edifici già in via di demolizione; basta considerare la mutevolezza della moda femminile, delle mode artistiche, letterarie, poetiche; basta contemplare i «cimiteri d’auto» che già si stendono alla periferia delle nostre città e non più soltanto negli Stati Uniti e basta considerare la voga così accanita ed effimera delle canzonette degli urlatori o delle danze collettive destinate a durare mezza stagione.
Il consumo – tanto inteso transitivamente nel significato del consumare alcunché del valersi, non solo del cibo, ma della cultura, dell’arte, della scienza, in maniera pressoché «mangereccia» – quanto inteso intransitivamente, nel senso del «consumarsi», dell’usurarsi, del sottostare all’entropia e all’obsolescenza di un dato fenomeno, è certo una delle costanti basilari della nostra età.
Ma, codesta civiltà del consumo si mescola e interferisce di continuo con una «civiltà dell’immagine», anche essa onnipresente, e determinante per tutto il nostro modo d’essere-nel-mondo e di essere-intersoggettivamente. Ed è su questo punto che vorrei dilungarmi un poco.
Quando, infatti, ho scelto come titolo di questa nota quello di «Nuove Iconi» l’ho fatto considerando come, appunto, tutte le moltiformi immagini che ci circondano, che ci impartiscono ammonimenti, precetti, lusinghe, (le immagini della segnaletica stradale, dei cartelloni cinematografici, dei manifesti politici, della pubblicità luminosa, ecc.;) costituiscano davvero, per la nostra epoca, un nuovo panorama iconografico, ma rappresentino anche le nuove divinità mitiche che di continuo ci vigilano e ci assistono, quando non ci irretiscono e ci ipnotizzano.
Non intendo scagliarmi contro di esse: sono del tutto contrario a certi ammonimenti apocalittici alla Anders, o a certi sopraccigliosi inalberamenti alla Adorno; il mio convincimento, anzi, è che molto ci sia da apprendere e da avvantaggiarsi dalla presenza tra di noi di codeste «Nuove Iconi»; tanto che proprio basandosi su di esse, si possa giungere ad una equilibrata strutturazione della nostra civiltà.
Naturalmente le loro deficienze e i loro pericoli debbono esserci noti, per poterli controllare e controbattere e la loro ubiquitarietà non deve essere una ragione per il loro incontrastato dominio. Ma anche quest’ultimo pericolo mi sembra sia stato spesso esagerato ad arte.
È un dato di fatto che la nostra esistenza cotidiana soggiace a certi impulsi, a certe sollecitazioni, che ci provengono dalle stimolazioni visive cui siamo costantemente sottoposti e la cosa è stata vagliata attentamente da molti ricercatori che hanno cercato di stabilire gli influssi negativi e positivi che hanno su di noi, ad es. le stimolazioni provocate dal cinematografo, dalla televisione, sforzandosi così di stabilire la possibilità di utilizzare questi mezzi positivamente per l’educazione delle masse, o valutandone il pericoloso effetto ipnotico e onirizzante.
Non intendo compiere, qui, un’elencazione minuziosa delle immagini visuali cui siamo sottoposti; vorrei tuttavia elencare almeno alcune di quelle che mi sembrano più importanti e determinanti. Ecco ad es. il caso della segnaletica stradale: un aspetto nuovo e ancora trascurato del nostro panorama immaginifico; trascurato, intendo, da un punto di vista antropologico-estetico. L’intera popolazione cittadina – dunque la grande maggioranza della nostra popolazione nazionale – subisce, a partire dalla prima infanzia, gli effetti d’una serie di segni, segnali, simboli (la vecchia tripartizione langeriana!) che poi si risolvono in scritte, in emblemi, in grafici, ecc.
Si tratta di effetti dai quali non è possibile prescindere. Non è solo questione di multe o ammonizioni, ma della propria sicurezza e integrità personale: non badare alle «zebre», ai divieti di transito, ai sensi proibiti, alle frecce indicanti i percorsi, significherebbe esporsi a danni rilevanti. Ecco, dunque, come, prima ancora d’aver appreso a leggere e a scrivere, gli abitanti delle città si avvezzano ad immagazzinare un certo numero di «ideogrammi » quanto mai perentori, stimolanti, inalienabili. Ma, alla pura e semplice segnaletica del traffico, dobbiamo aggiungere tutti gli altri elementi figurati che coprono le pareti delle case, i muri delle strade, l’interno e l’esterno dei mezzi di trasporto: figure pubblicitarie, scritte, luci, al neon; nonché tutto il vasto panorama di quello che definirei «arredamento urbano»: le panchine, le cassette postali, le pensiline degli autobus, le ceste dell’immondizia, ecc.
Si potrà facilmente obiettare che anche per il passato esistevano figurazioni applicate ai muri delle case; anzi, esistevano affreschi e bassorilievi ben più importanti artisticamente delle figurazioni odierne; ed esistevano anche insegne di taverne, di negozi, di botteghe artigiane. Ma la differenza coi nostri giorni è immensa: oggi chi semplicemente passeggi per la strada è sottoposto a sua insaputa ad una serie di sollecitazioni derivanti da scritte, segni, e vere e proprie «figure », quali mai per l’innanzi si ebbero a verificare.
Forse l’origine di questo enorme accrescimento delle figurazioni pubbliche (che comprendono ovviamente anche i cartelloni cinematografici, gli ingrandimenti serigrafici e fotografici, le riproduzioni di pitture antiche e moderne) non è soltanto di carattere commerciale e pubblicitario: forse è ancora l’antico horror vacui che – dopo la parentesi puristica del razionalismo (l’epoca dei «muri bianchi» dell’assenza di decorazioni) ha ripreso a ossessionare l’uomo.
L’iconoclastia che, periodicamente, è sopraggiunta a distruggere gli emblemi delle divinità e le figurazioni antropomorfe, ha sempre avuto una breve durata: siamo nuovamente in un’era anti-iconoclastica, e le Nuove Iconi che la popolano anziché essere come un tempo costruite a mano sono sfornate a macchina in migliaia d’esemplari identici. La serialità dell’immagine è un altro fenomeno di cui occorre tener conto se si vogliono comprendere molti aspetti della nostra civiltà.
Se, in passato, tutto un complesso e spesso pregevole frasario ornamentale, fatto di fregi, bassorilievi, affreschi, si stendeva sopra gli edifici, sui templi, sui palazzi, e valeva, in certo senso, a soddisfare la «sete d’immagini» dell’uomo, oggi qualcosa d’analogo accade, ma su scala infinitamente più vasta e con caratteri del tutto diversi. Ecco, infatti, sorgere attorno a noi un nuovo universo di immagini artificiali, prodotte non più singolarmente, artigianalmente, ma in maniera industrializzata, fatte in serie, destinate ad una popolazione in continuo aumento, che ha peraltro bisogno del suo quotidiano –
Tutto questo immenso panorama visuale sta ora attorno a noi, ha invaso le pareti libere degli edifici, i cornicioni, i tetti, i marciapiedi, si è riversato lungo le strade, le autostrade. In un’epoca dove conta più l’effimero del permanente, dove il transeunte ha più presa dell’eterno, era logico che questo fenomeno si verificasse.
Troppo spesso, al giorno d’oggi, si tende a svalutare sistematicamente e per partito preso dei fenomeni para-artistici come quelli, ad es. della grafica pubblicitaria (della grafica in genere), del disegno industriale, della pubblicità luminosa, cinetica, della cartellonistica stradale, cinematografica, dell’imballaggio, del «lettering». A codesti settori s’attribuisce di solito, da parte di critici d’arte tradizionalisti, effetti deleteri e scarsissimo o nullo valore estetico.
La situazione, per contro, è ben diversa: siamo immessi e partecipi, ormai, d’una società di massa che domina, volere o no, e dominerà sempre di più, l’intero pianeta. La presenza d’un’arte d’élite – anche se continuerà ad essere necessaria ed efficace – non potrà avere che un valore subordinato alla presenza di forme artistiche capaci di generalizzarsi. Già oggi ce ne avvediamo: numerose forme d’arte d’élite si sono accaparrate e hanno fatto propri elementi e moduli derivati totalmente da forme d’arte come quelle di cui stiamo ragionando.
Poco conta che un segno del traffico venga considerato o meno «artistico» quando poi sarà proprio tale segno a mettere in moto certe associazioni formali, certe strutturazioni segniche che diventeranno il nocciolo d’una futura opera d’arte autentica.
L’abbiamo potuto constatare ormai in più d’un caso, senza bisogno di ricorrere ai Rauschenberg o ai Jasper Johns, già considerando alcune ormai celebri opere di Klee, di Mondrian di Schwitters. Elementi che facevano parte del «panorama artificiale» che ci circonda furono dunque «sublimati» ad opere d’arte, non altrimenti di come accadeva ai tempi in cui spettava questo «onore» ai paesaggi, alle nature morte, ai fiori.
È dunque tutto questo ampio dominio delle Nuove Iconi ad essere il promotore delle immagini e dei segni espressivi da cui prendono il più delle volte l’avvio le opere d’arte della nostra età, siano esse pitture e sculture, siano architetture e oggetti dell’industria. E anche di questo si dovrà tener conto, poiché molto spesso saranno gli stessi oggetti industriali ad essere, a loro volta, suscitatori di nuove immagini plastiche e cromatiche destinate a diventare le direttrici di autentiche espressioni dell’arte futura.
tratto dal numero 1